La CEDU si pronuncia sulla tutela del whistleblower nel cd. caso Halet

di  Eliana Romanelli,  Dottoranda di ricerca in Diritto penale ;  Funzionario amministrativo presso il Ministero della Cultura

 

 

 

1. Introduzione

 

L’istituto del whistleblowing è comunemente riconosciuto come uno dei più efficaci strumenti di compliance normativa, prevenzione dell’illegalità e emersione dei reati nel contesto lavorativo.

Nel dibattito internazionale risulta crescente l’attenzione verso la tutela della figura del whistleblower e l’individuazione di idonee misure di salvaguardia dello stesso da comportamenti ritorsivi che potrebbero ingenerare sfiducia, disincentivare le segnalazioni e così decretare il fallimento applicativo dell’istituto.

 

 

2. La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

 

I temi della rilevanza della segnalazione nella lotta all’illegalità e della necessità di assicurare una adeguata tutela al segnalante, soprattutto nel contesto lavorativo, sono stati oggetto anche di una recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Grande Camera, Caso Halet v. Lussemburgo), depositata il 14 febbraio 2023.

 

 

2.1 Il contesto fattuale della decisione

 

La causa trae origine dal ricorso n. 21884/18 presentato contro il Granducato di Lussemburgo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, da parte di un cittadino francese, il quale aveva sostenuto che la condanna penale inflittagli ai sensi del Codice Penale lussemburghese (per aver divulgato ai media documenti rilasciati dal suo datore lavoro) aveva costituito una “interferenza sproporzionata” nell’esercizio del suo diritto alla libertà di espressione tutelato dall’articolo 10 della predetta Convenzione.

 

In particolare, il ricorrente (ex dipendente della società multinazionale PricewaterhouseCoopers – PWC, operante nei settori della revisione contabile, consulenza fiscale e gestionale) era stato ritenuto responsabile dei reati di furto ai danni del proprio datore di lavoro, accesso fraudolento a un sistema di elaborazione o trasmissione automatica di dati, violazione del segreto commerciale e professionale e riciclaggio, illeciti integrati a seguito della rivelazione ad un giornalista di documenti d’ufficio inerenti pratiche fiscali di società multinazionali clienti di PWC, come tali riservati e soggetti a segreto professionale.

 

 

2.2 Il diritto alla libertà di espressione e la tutela del whistleblower

 

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa, firmata a Roma il 4 novembre 1950, sancisce e tutela, all’articolo 10, il diritto di ogni persona alla libertà di espressione, la quale include la libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche.

 

Ai sensi del comma 2, l’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere soggetto a eccezioni, da interpretare in modo rigoroso, e può essere sottoposto alle condizioni e restrizioni previste dalla legge quali misure necessarie a tutelare interessi di ordine pubblico (come la sicurezza nazionale), la reputazione e altri diritti di terzi e impedire la divulgazione di informazioni riservate.

 

Nel caso in esame la Corte si sofferma, dunque, sul delicato bilanciamento, sotteso all’esercizio della libertà di espressione, tra l’interesse pubblico alla divulgazione di notizie rilevanti per la comunità e l’interesse privato alla riservatezza di informazioni coperte da segreto professionale.

 

 

2.3 Le conclusioni della Corte

 

Sulla scia della consolidata giurisprudenza della Corte, i Giudici della Grande Camera riaffermano, in primo luogo, l’estensione della tutela della libertà di espressione di cui all’articolo 10 della Convenzione al whistleblower, professionista e lavoratore dipendente, che divulga, in buona fede e in modo appropriato e proporzionato, informazioni di lavoro aventi un forte interesse pubblico.

 

Dopo aver ponderato tutti gli interessi in gioco, i Giudici concludono rilevando che la condanna penale del ricorrente ha effettivamente integrato una violazione dell’articolo 10 della Convenzione e costituito un’ingerenza, da parte delle autorità lussemburghesi, “non necessaria in una società democratica” nell’esercizio del suo diritto alla libertà di espressione.

 

Ripercorrendo l’iter argomentativo della Corte, questa ha preliminarmente illustrato il quadro normativo, internazionale ed europeo, in tema di protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione degli “informatori”.

 

Nel merito la Corte ha poi verificato se i tribunali lussemburghesi avessero rispettato i criteri sviluppati nella sentenza Guja (Guja c. Moldavia, n. 14277/04, §§ 74-95, CEDU 2008) per valutare se e in che misura un individuo che divulga informazioni riservate ottenute in ragione dell’attività lavorativa svolta possa avvalersi della protezione in parola. I sei criteri individuati dalla Corte consistono, in particolare:

  • nella disponibilità o meno di canali alternativi per la divulgazione, essendo preferibile il ricorso a canali di segnalazione interni;
  • nell’interesse pubblico sotteso alle informazioni divulgate, il quale deve essere valutato alla luce del contenuto delle informazioni stesse, delle finalità perseguite con la segnalazione e del principio alla base della divulgazione;
  • nella buona fede dell’informatore;
  • nell’autenticità delle informazioni divulgate, elemento essenziale per valutare la necessità di una interferenza con la liberà di espressione del segnalante;
  • nel danno causato al datore di lavoro, il quale rappresenta l’interesse privato da ponderare con l’interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni;
  • nella severità della sanzione inflitta.

Nel caso di specie la Corte ha evidenziato che il contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale nonché il rispetto del principio della parità di trattamento dei contribuenti e della trasparenza fiscale rappresentano indubbiamente temi di interesse pubblico, che rientrano nell’ambito del dibattito politico in una società democratica e la cui conoscenza da parte della comunità prevale su “tutti gli effetti pregiudizievoli” derivanti dalla segnalazione.

 

La libertà di espressione tutelata dall’articolo 10 della Convenzione può, dunque, essere correttamente invocata dal ricorrente come circostanza che giustifica la violazione del diritto nazionale, del segreto professionale e dei generali obblighi di riservatezza e confidenzialità cui sono tenuti i professionisti operanti nel settore della revisione legale dei conti, sia per legge che in forza di un contratto di lavoro.

 

Lo scopo perseguito dall’istituto del whistleblowing – conclude la Corte – “non è solo quello di scoprire e attirare l’attenzione su informazioni di interesse pubblico, ma anche di provocare un cambiamento nella situazione a cui tali informazioni si riferiscono, se del caso, assicurando un’azione correttiva da parte delle autorità pubbliche competenti o dei privati interessati, come le imprese.

 

 

3. Uno breve sguardo al contesto italiano

 

Ponendo lo sguardo al contesto italiano il 2023 può indubbiamente essere considerato l’ “anno del whistleblowing”.

 

In soli tre mesi si è assistito ad una accelerazione dell’iter normativo di recepimento della cd. Direttiva Whistleblowing (Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione) da parte del Governo.

 

L’impegno dell’Italia, tuttavia, non ha impedito l’avvio, in data 15 febbraio 2023, di una procedura formale di infrazione da parte della Commissione Europea con deferimento alla Corte di Giustizia UE per il mancato recepimento della Direttiva e l’omessa notifica delle misure nazionali di recepimento.

 

La procedura di infrazione è destinata comunque a concludersi in tempi brevi in quanto, in data 9 marzo 2023, il Consiglio dei Ministri ha finalmente approvato, in via definitiva, il decreto legislativo di attuazione della Direttiva: il 15 marzo 2023, poi, il Decreto Legislativo 10 marzo 2023, n. 24 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 63.

Il provvedimento entrerà in vigore il prossimo 30 marzo e le relative disposizioni avranno effetto a decorrere dal 15 luglio 2023, fatta eccezione per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati (con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato) fino a 249, per i quali il preciso obbligo di istituzione di canali di segnalazione interna avrà effetto a decorrere dal prossimo 17 dicembre 2023.