Le cause di esclusione dell’ente dalle gare pubbliche nello schema del nuovo Codice degli appalti

di  Mario  Iannuzziello,  Dottore di Ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo Schema del decreto legislativo per la riforma del Codice dei contratti pubblici, attuando così la delega contenuta nella legge n. 78 del 2022. In questo schema, che si propone di innovare il complesso quadro normativo degli appalti pubblici, il Decreto 231 e, quindi, la responsabilità da reato degli enti, gioca un ruolo peculiare sia perché l’operatore economico privato a cui fa riferimento il nuovo Codice degli appalti è il più delle volte una persona giuridica sia perché la condanna per uno degli illeciti 231 così come la sua contestazione sono o possono essere causa di esclusione dell’ente dalla gara di appalto e rilevare quale illecito professionale grave.

 

L’analisi che segue, dunque, si soffermerà su quei profili dello schema del nuovo Codice degli appalti che riguardano più direttamente il Decreto 231 e che, non a caso, interessano i requisiti di ordine generale per partecipare alle gare pubbliche. Si passeranno in rassegna, quindi, le cause di esclusione automatica (Articolo 94), le cause di esclusione non automatica (Articolo 95) e l’illecito professionale grave (Articolo 98) e poi si tenterà di trarre – in ottica di sistema – alcuni spunti critici.

 

 

2. Le cause di esclusione automatica

 

L’art. 94 si presenta quasi identico all’attuale art. 80 d.lgs. n. 50/2016 (Codice degli appalti) ed è rubricato “Cause di esclusione automatica”. Tale definizione riprende una definizione invalsa nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (si veda, fra tutte, CGUE, causa C-210/20, 3 giugno 2021), adottata per identificare quei casi in cui l’estromissione da una gara pubblica o anche il divieto di parteciparvi deriva direttamente da una fonte normativa. Infatti, la Relazione allo schema di decreto legislativo precisa che quando ricorre una di queste cause di esclusione “non v’è spazio per alcun margine valutativo della stazione appaltante” e cataloga anche quei “soggetti destinatari di provvedimenti preclusivi idonei a determinare, per contagio, l’esclusione dell’operatore economico”.

 

Il comma 1 dell’art. 94 prescrive che è causa di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione alla gara di appalto – per un periodo di cinque anni – la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna irrevocabile o la sentenza patteggiata per una serie di delitti, consumati o tentati, fra cui compaiono l’associazione per delinquere e per delinquere di stampo mafioso nonché quella finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, varie ipotesi di reato contro la pubblica amministrazione (fra gli altri, artt. 317, 318, 319 c.p.), le false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.), alcune ipotesi di riciclaggio, reati commessi con finalità di terrorismo e sfruttamento di lavoro minorile e la tratta di esseri umani. A questi, poi, si aggiunge come causa di esclusione automatica “ogni delitto da cui derivi, come pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”.

 

Il comma 2, poi, prevede come ulteriori ipotesi di esclusione l’applicazione all’operatore economico delle misure interdittive previste all’interno del d.lgs. n. 159/2011, Codice antimafia, con l’eccezione per l’impresa che è stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34bis del medesimo decreto legislativo.

 

Dopo la rassegna dei requisiti oggettivi che conducono all’esclusione automatica dalla procedura di contrattazione pubblica, il comma 3 dell’art. 94 si occupa di delineare l’ambito soggettivo di applicazione, stabilendo che “L’esclusione di cui ai commi 1 e 2 è disposta se la sentenza o il decreto oppure la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti dell’operatore economico ai sensi e nei termini di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.

 

Ancora, il comma 5, esclude l’operatore economico a cui è stata applicata la sanzione interdittiva prevista dall’art. 9, comma 2, lett. c) del Decreto 231, cioè il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, o altra sanzione che implichi anche questo divieto.

 

In chiusura, il comma 7 dell’art. 94 prevede che l’esclusione automatica non opera quando il reato è stato depenalizzato, è intervenuta la riabilitazione, sono estinti il reato e la pena (anche accessoria) e in caso di revoca di condanna.

 

 

3. Le cause di esclusione non automatica

 

L’art. 95 dello Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, poi, norma le cause di esclusione non automatica, qualificazione – questa – invalsa nella giurisprudenza amministrativa (cfr., Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27 maggio 2021, n. 9). Tale articolo, come si legge sempre nella Relazione allo schema di decreto legislativo, pone in capo alla stazione appaltante “un margine di apprezzamento della situazione concreta riconducibile al concetto di discrezionalità tecnica: apprezzata la sussistenza del presupposto enucleato nella disposizione di legge, la scelta espulsiva diviene necessitata”.

 

Tra i casi che consentono l’esercizio di tale discrezionalità tecnica, compaiono – per quanto qui di interesse – da un lato, la sussistenza di gravi infrazioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro e in materia ambientale, “debitamente accertate con qualunque mezzo adeguato” e, dall’altro, la commissione di un illecito professionale grave (rinviando all’art. 98), idoneo a mettere in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico. I fatti sottesi a queste previsioni, poi, devono essere occorsi nell’arco dei tre anni precedenti alla gara di appalto.

 

È da notare che l’illecito professionale grave – perché valga come causa di esclusione non automatica – deve essere dimostrata dalla stazione appaltante “con mezzi adeguati” e se ricorrono i tre requisiti previsti dal comma 2 dell’art. 98: (i) la sussistenza di elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; (ii) la sua idoneità a incidere sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore e (iii) la presenza degli elementi probatori di cui al comma 7 del medesimo articolo.

 

Ancora – e similmente all’art. 94 – il comma 3 dispone che l’esclusione dalla gara e il divieto di aggiudicazione non operano quando il reato è stato depenalizzato, vi è stata la riabilitazione, reato e pena (anche accessoria) sono prescritti o la condanna è stata revocata.

 

In questa norma – a differenza dell’art. 94 – il Decreto 231 rimane sullo sfondo: vi rientra, infatti, tramite il rinvio all’art. 98, che rende l’illecito professionale una causa di esclusione non automatica dalla gara di appalto.

 

 

4. L’illecito professionale grave

 

L’art. 98 dello Schema delinea – come anticipato – i caratteri dell’illecito professionale grave, che, nell’economia della nuova disciplina dei contratti pubblici, rileva anche come causa di esclusione dalla procedura di gara.

 

Il comma 1 stabilisce che tale illecito “rileva solo se compiuto dall’operatore economico offerente, salvo quanto previsto dal comma 4, lettere g) ed h)” ossia in caso di illeciti professionali compiuti dalla persona giuridica, se ricorrono i tre requisiti previsti dal comma 2 e già emersi nel paragrafo precedente.

 

Sempre l’art. 98, al comma 4, lett. h), n. 5), prevede che la contestazione o l’accertata commissione da parte dell’operatore economico dei “reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231” costituiscono un dato da cui può desumersi un illecito professionale.

 

In altre parole, quegli stessi fatti che portano ai sensi dell’art. 94 all’esclusione automatica dalla procedura incidono – se soltanto contestati o se accertati nei tre anni precedenti – sulla affidabilità dell’impresa e possono essere valutati come illecito professionale grave.

 

Del resto, la Relazione allo Schema di decreto legislativo è abbastanza netta sul punto, laddove con riferimento alle fattispecie di cui al comma 4 lettere g) ed h), che costituiscono l’eccezione prevista al comma 1 per cui l’illecito professionale rileva solo se è compiuto dall’offerente, afferma che “sia per la rilevante gravità delle condotte ivi contemplate, ma anche perché, proprio con riferimento alle medesime, opinare diversamente avrebbe comportato l’incomprensibile aporia di impedire la valutazione di una possibile causa non automatica di esclusione unicamente a cagione della non definitività della condanna, pur con riferimento a figure professionali per le quali, la stessa fattispecie, ove sfociata in una sentenza definitiva di condanna, avrebbe comportato la obbligatoria esclusione dell’operatore economico. Analoghe considerazioni attengono alle fattispecie di cui alla lett. h) del comma 4, riconducibili a fatti di reato del pari gravi in relazione al principio di tutela dell’interesse alla legalità sotteso alla contrattualistica pubblica.

 

Di conseguenza, mezzo di prova idoneo a dimostrare l’illecito professionale – nella specie, la non affidabilità dell’operatore economico – sono oltre alla condanna definitiva, al decreto penale di condanna e alla sentenza patteggiata irrevocabili, gli stessi provvedimenti non definitivi e le contestazioni del reato nelle diverse forme previste dal codice di rito penale e anche l’applicazione di misure cautelari.

 

Su tale dato, poi, che va a costituire l’illecito professionale, la stazione appaltante dovrà svolgere una valutazione di gravità, secondo i criteri previsti dal comma 5 ossia del bene giuridico leso, dell’entità della sua lesione, del tempo trascorso dalla sua commissione. Tra questi compare anche un criterio volto a dare rilevanza alla compliance nel nuovo codice degli appalti: infatti, la riorganizzazione dell’ente a seguito della condanna è un elemento da valutare, che può far ritenere non-grave l’illecito professionale e quindi può non integrare una causa di esclusione non automatica dalla gara pubblica.

 

Inoltre, è previsto un onere di motivazione in capo alla stazione appaltante sull’idoneità dei provvedimenti giurisdizionali e sanzionatori a rendere l’ente non affidabile e a inficiarne l’integrità.

 

 

5. Spunti critici e considerazioni conclusive

 

La disciplina sulle cause di esclusione dell’ente dalle gare pubbliche si pone in sostanziale continuità con la normativa vigente (d.lgs. n. 50/2016) e sembra presentare alcune criticità se la si osserva dal punto di vista del sistema 231 nel suo complesso, considerando cioè anche le relazioni tra il Decreto e il codice penale e di procedura penale.

 

Nella sua discrezionalità, il legislatore ha ritenuto che la condanna dell’ente fosse una ragione valida per escluderlo automaticamente dalle procedure di appalto per un determinato tempo (massimo cinque anni), rimarcando l’aspetto negativo della prevenzione (generale e speciale), ma tale scelta risulta, per certi versi, contraddittoria sotto diversi profili.

 

Il primo di questi emerge se si considera che il sistema 231 concepisce una responsabilità propria per la persona giuridica, distinta da quella dell’autore del reato presupposto. Nello specifico, l’art. 94 dispone che se all’apicale con rappresentanza legale dell’ente o che riveste quelle funzioni (direttore tecnico, membro del Cda) o qualifiche (socio, insitore) indicate al comma 3 sempre dell’art. 94, è applicata la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32ter c.p.) questa si estende “per contagio” (come sottolinea la Relazione) anche all’ente. In altri termini, la pena accessoria rileva anche per l’ente a cui, nella sentenza di condanna per un illecito amministrativo dipendente da reato, non è stata applicata l’omologa sanzione interdittiva prevista dall’art. 9, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 231/2001. Questa previsione, inoltre, pare risultare irragionevole se si considera che l’eventualità in cui l’autore del reato presupposto venga condannato e l’ente sia prosciolto. Diversamente, ossia se l’ente viene condannato, la preclusione al rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione deriva dalla sentenza di condanna, che, come visto, è causa di esclusione automatica dalla gara di appalto.

 

Un’altra contraddizione che pare emergere, ma che può interpretarsi anche come un ulteriore effetto penale della condanna, previsto però da una legge extra-penale, si può rintracciare nel periodo in cui la condanna dell’ente rileva come causa di esclusione automatica (cinque anni), la contestazione dell’illecito amministrativo come causa di esclusione non automatica (tre anni) e illecito professionale grave (sempre tre anni). Tali lassi temporali, invero, divergono dalla durata massima della sanzione interdittiva applicata all’ente, che, ex art. 13 d.lgs. n. 231/2001, va da un minimo di mesi tre a un massimo di anni due, con l’eccezione prevista dall’art. 16 d.lgs. n. 231/2001, che, come noto, disciplina l’applicazione in via definitiva di questo tipo di sanzione. Su tale aspetto, sarebbe opportuno addivenire per via legislativa ad una coerenza sistematica tra le interdittive previste dal Decreto 231 e le cause di esclusione previste dal nuovo Codice degli appalti.

 

Di conseguenza, pare affiorare anche un’ulteriore contraddizione tra l’approvando Codice dei contratti pubblici e il sistema 231: il meccanismo di esclusione dell’operatore economico-persona giuridica sembra sconfessare l’efficacia preventiva del commissariamento giudiziale, che – come noto – evita l’irrogazione della sanzione interdittiva (art. 15, d.lgs. n. 231/2001). L’art. 94, comma 2, dello Schema di decreto legislativo qui in commento prevede, infatti, che il controllo giudiziario previsto dall’art. 34bis del Codice antimafia vale a bypassare la cause di esclusione automatica prevista dal nuovo Codice degli appalti, mentre ciò non pare possibile nel caso in cui un ente venga condannato alla sanzione interdittiva e – per continuare a garantire interessi collettivi quali prestazioni di servizi essenziali o tutela del livello occupazione – sia nominato un commissario giudiziale. Il comma 2 dell’art. 94 stabilisce testualmente che “La causa di esclusione di cui all’art. 84, comma 4, [d.lgs. n. 159/2011] non opera se, entro la data di aggiudicazione, l’impresa è stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis del medesimo decreto legislativo”. È pur vero che la misura interdittiva antimafia, richiamata appunto dall’art. 84, comma 4, del Codice antimafia, e quella prevista dal Decreto 231 adempiono a scopi politico-criminali diversi, che potrebbero giustificare tale opzione legislativa, ma ciò non esime dal considerare che questa stessa scelta può avere delle ripercussioni sui commissariamenti previsti dal Decreto 231. Anche qui, dunque, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore.

 

Ancora, i profili con cui viene tratteggiato l’illecito professionale dell’ente, che può configurare una causa di esclusione non automatica dalla gara di appalto, sembrano delineati secondo la logica del sospetto in quanto la semplice contestazione di un illecito 231 è idonea a porre in dubbio l’affidabilità e l’integrità dell’impresa concorrente. Lo schema di decreto legislativo, infatti, non distingue in base alla gravità del reato presupposto da cui dipende l’illecito amministrativo, ma accomuna – incrementando così la discrezionalità tecnica sottesa alla valutazione della gravità dell’illecito professionale – fattispecie quali il reato di false comunicazioni sociali di lieve entità (art. 2621bis c.c.) e, quindi, l’illecito amministrativo di cui all’art. 25ter d.lgs. n. 231/2001, punito nel massimo con una sanzione pecuniaria da duecento quote, al delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso (art. 416bis c.p.) e, di conseguenza, l’illecito amministrativo di cui all’art. 24ter d.lgs. n. 231/2001, che ha come limite edittale della sanzione pecuniaria mille quote. Situazione che meriterebbe un intervento riformatore che miri a prestabilire delle soglie di gravità e quindi a vincolare meglio il potere discrezionale della stazione appaltante.

 

Un latro profilo dello Schema del nuovo Codice degli appalti, che pare opportuno rimeditare, traspare in controluce se si pongono in relazione tale schema di decreto legislativo e la modifica degli effetti extra-penali del patteggiamento a seguito della riforma Cartabia. Come già si è avuto modo di notare, l’ente che patteggia non dovrebbe – in linea di principio – incorrere in preclusioni quale l’esclusone automatica o non automatica da una gara di appalto visto che l’art. 445, comma 1bis, c.p.p. stabilisce che “non producono effetti le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, alla sentenza di condanna”. Disposizioni di legge che possono essere anche quelle del nuovo Codice degli appalti qui in considerazione. Sembra, dunque, emergere la contraddizione tra le esclusioni, automatiche e no, e gli effetti extra-penali del patteggiamento dell’ente, che richiederebbe – onde evitare di lasciare alla giurisprudenza il compito di risolvere tale contrapposizione – un intervento del legislatore.

 

 

In conclusione, sembra emergere che le cause di esclusione (automatiche e non automatiche) dalle gare pubbliche vadano ad incrementare il portato sanzionatorio del Decreto 231, costituendo un sistema di esclusione parallelo e non coordinato con gli strumenti normativi di prevenzione della criminalità d’impresa di cui proprio il Decreto del 2001 rappresenta lo strumento principale.