Titolari del potere gestorio: miti e realtà dei consigli di amministrazione

di Anna Pampanin, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

In data 4 marzo 2023 si è svolta presso le Aule dell’Università Cattolica del Sacro Cuore la Tavola Rotonda dal titolo ‘‘Titolari del potere gestorio: miti e realtà dei consigli di amministrazione’’.

L’evento, organizzato in occasione dello svolgimento del Master in Diritto Penale dell’Impresa (ASGP), si è proposto di discutere il tema dei consigli di amministrazione. Nello specifico si è voluto approfondire come l’esercizio dei poteri gestori avvenga nella realtà, come venga rappresentato in ambito giudiziario e quali siano le difficoltà dell’accertamento rispetto al funzionamento degli organi collegiali.

Tutti i relatori invitati ad intervenire appartengono ad ambiti professionali diversi. L’obiettivo è stato quello di analizzare la tematica da prospettive differenti, con un approccio olistico e multidisciplinare capace di illustrare dettagliatamente il fenomeno.

 

 

1. Problematiche a confronto: titolarità effettiva del potere gestorio, assetti organizzativi e comitati

 

Nel corso dell’intervento iniziale il Professor Gaetano Presti, Ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha fornito una panoramica generale delle problematiche nonché un punto di partenza per la discussione.

 

Innanzitutto, si è specificato, è corretto utilizzare la forma plurale (“Consigli di amministrazione“) per descrivere il fenomeno. Il consiglio di amministrazione non rappresenta una categoria omogenea; sia il dettato normativo sia la realtà empirica riconoscono una molteplicità di figure, che spaziano dall’organo che agisce ponendo maggiore enfasi sull’attività di ‘‘governo’’ della gestione a quello che svolge principalmente, se non esclusivamente, una funzione di monitoraggio della medesima.

 

Un secondo motivo di apprezzamento concerne l’evocazione della titolarità del potere gestorio, che porta con sé un implicito punto interrogativo nella sua effettiva individuazione.

 

Se sotto il profilo formale non vi sono dubbi circa la titolarità della gestione in capo al consiglio di amministrazione, è fondamentale ricordare come questo possa, di fatto, delegare tale potere a favore dell’amministratore delegato.

 

Per comprendere le descritte dinamiche devono essere passati in rassegna i compiti dell’organo amministrativo. Tra questi il tema centrale è rappresentato dalla valutazione di adeguatezza degli assetti organizzativi. La prima responsabilità degli amministratori è infatti quella di costruire questo sistema organizzativo, amministrativo e contabile, che rappresenta a sua volta una sorta di ‘‘cerniera’’ tra amministratori delegati e non delegati, a garanzia di un agire informato di questi ultimi.

 

Prima di inoltrarsi nell’esame specifico, è necessario sottolineare come la realtà, ad oggi, sia mutata.

 

In questa sede preme evidenziare il ruolo sempre più pregnante dei comitati, sia dal punto di vista quantitativo (i tempi di lavoro nei comitati spesso superano quello delle riunioni del CdA), sia qualitativo, laddove l’importanza delle questioni affrontate assume un valore sempre più centrale e le modalità operative alterano significativamente il lavoro degli amministratori.

 

Il maccanismo dei comitati ha, in sintesi, incrinato la logica dei flussi informativi. Sono i singoli amministratori, membri dei diversi comitati, ad avere il diritto di assumere le informazioni dai dirigenti della società, per poi riferirne in consiglio. L’iniziativa di condivisione dell’informazione non è più prerogativa esclusiva dell’amministratore delegato.

 

Si registra una sorta di ‘‘parcellizzazione delle informazioni’’, frammentate in virtù di questa suddivisione, con importanti ricadute anche dal punto di vista della responsabilità penale.

 

 

2. La mutata realtà dei consigli di amministrazione

 

La dott.ssa Stefania Chiaruttini, Dottore Commercialista e Socia fondatrice dello studio Chiaruttini & Associati, si è concentrata sull’effettivo mutamento che ha interessato la realtà dei consigli di amministrazione, nonché sulla percezione dei c.d. segnali d’allarme.

 

Oltre al già illustrato nuovo ruolo dei comitati, è fondamentale rilevare l’ingresso delle quote rosa all’interno degli organi di amministrazione. Il genere femminile è ampiamente rappresentato, anche se tale aumento non risulta proporzionato allo svolgimento di funzioni apicali, che rimangono ancora a prevalenza maschile.

 

In generale, e presupponendo una differenza sostanziale tra le società industriali e il mondo degli intermediari finanziari e creditizi, sono cambiate le regole inerenti alla composizione dei collegi. Si pensi ai requisiti di onorabilità e professionalità richiesti dalla “Guide to fit and proper assessments“, con la quale la Banca Centrale Europea (BCE) mira a promuovere l’obiettivo di aumentare il livello di trasparenza, oltre che all’efficienza e la qualità del processo di valutazione dei requisiti.

 

Emerge così una nuova figura di consiglio di amministrazione e di consigliere, al quale è richiesta un’effettiva partecipazione, una costante presenza, e conseguentemente molto tempo da dedicare.

 

Tali considerazioni si riflettono anche sull’eventuale profilo “patologico” del tema.  Il ruolo e le competenze degli amministratori rilevano, seppur indirettamente, nella percezione dei segnali d’allarme. Tra questi, a titolo esemplificativo, è bene richiamare il ritardo nella presentazione dei documenti, l’assenza di pianificazione (sia industriale che finanziaria), e più in generale l’assenza di puntuale giustificazione del vantaggio compensativo nelle operazioni infragruppo.

 

Ulteriore tema di forte attualità concerne il rapporto tra gli assetti organizzativi interni e la business judgment rule, di recente oggetto d’interesse anche da parte della giurisprudenza. Il problema si pone in quanto l’opzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, nel senso che l’organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all’adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nei momenti di crisi.

 

La tematica si riflette, ancora una volta, sui profili di responsabilità penale. Sia perché, da un lato, i vari segnali d’allarme vengono poi utilizzati come indicatori di responsabilità in sede di accertamento giudiziale, sia perché, dall’altro, è necessario trovare una convergenza e non una duplicazione tra assetti organizzativi e procedure ex d.lgs. 231/2001.

 

 

3. L’eterogeneità della tematica

 

Durante il terzo intervento l’Avv. Alfredo Craca, Managing Partner Fivelex Studio Legale e Tributario, ha rimarcato il carattere eterogeneo dei consigli di amministrazione e del loro funzionamento. In sostanza si riscontrano tante tipologie di organi amministrativi quante sono le tipologie di società esistenti.

 

In questa disomogeneità è tuttavia possibile enucleare dei criteri comuni utili alla valutazione del carattere virtuoso (o meno) dell’organo amministrativo.

 

In primo luogo il numero dei componenti deve essere adeguato alle caratteristiche, alle dimensioni e alla natura della realtà societaria. È importante che il CdA rispetti i requisiti di professionalità e competenza funzionali al perseguimento dell’oggetto sociale e ad un agire consapevole. Coerentemente con tale assunto, andrebbe privilegiata la partecipazione di consiglieri indipendenti, la cui presenza costituisce una premessa fondamentale per un funzionamento conforme.

 

Inoltre, un ruolo centrale è rivestito dalla figura del Presidente del Consiglio di Amministrazione. Quest’ultimo svolge delle funzioni cruciali: ha il dovere e il potere di mettere gli amministratori in condizione di deliberare in modo informato, e quindi, di fatto, è colui che decide e verifica l’adeguatezza, la completezza e l’oggettività del set informativo, nonché la periodicità con cui questo viene trasmesso.

 

Al fine di garantire il raggiungimento di tale risultato è necessario che la composizione del collegio, così come descritta, sia accompagnata da efficienti assetti organizzativi aziendali.

 

L’assetto organizzativo adeguato consente la prevenzione, almeno in termini di riduzione del rischio, di situazioni patologiche.

 

Nella maggior parte dei casi queste ultime sono da ricondursi a situazioni di conflitto di interesse da parte dei componenti del consiglio di amministrazione, in particolare figure che rivestono ruoli esecutivi. Proprio per la ragione descritta è importante che tale profilo sia costantemente monitorato e presidiato, anche al fine di eludere conseguenze penali.

 

 

4. L’ottimo, il nemico del bene. Il rischio di una compliance difensiva

 

È poi intervenuto Victor Massiah, Professore a contratto di Gestione Bancaria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed Ex CEO UBI Banca, il quale ha inizialmente ripercorso le caratteristiche dei tre modelli di Corporate Governance esistenti in Italia, per poi focalizzarsi su alcuni aspetti problematici riscontrabili nella realtà empirica.

 

Innanzitutto, è necessario (ri)considerare la figura del Presidente del consiglio di amministrazione, che rappresenta al contempo un “partner” del consigliere delegato e un contrappeso fondamentale nell’agire di quest’ultimo. Il Presidente decide l’ordine del giorno, scandendo così il “ritmo”, la frequenza e l’intensità degli argomenti. Egli rappresenta, inoltre, la prima interfaccia per gli azionisti; in tal senso è fondamentale non equivocare il ruolo di dialogo, necessario ed indispensabile, con una presunta gestione esterna.

 

Nell’assetto così delineato si inserisce funzionalmente l’architettura dei controlli che, grazie ad un collegamento estraneo al consigliere delegato, ha teoricamente piena capacità di effettuare efficienti ispezioni ed informare direttamente l’organo amministrativo.

 

Ulteriore (e forse principale) problematica è rappresentata da quella che potremmo definire “ipertrofia” operativa dei consigli di amministrazione. Le statistiche evidenziano ordini del giorno estremamente densi, verbali lunghissimi, infinite questioni da trattare; il rischio è che si perda di vista la distinzione tra ciò che è rilevante e ciò che non lo è, danneggiando fortemente il contesto generale.

 

L’operato viene così svolto non in stretta funzione dell’efficienza, della gestione e del raggiungimento del miglior risultato possibile, bensì in previsione di eventuali patologie giudiziarie. Non è errato definire tale tendenza come ‘compliance difensiva’’.

 

 

5. Il profilo patologico delle realtà collegiali. Il rapporto tra proprietà e gestione

 

In conclusione il Dott. Stefano Civardi, Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, si è occupato del profilo “patologico” della tematica, che per professione gli compete.

 

Per potersi immergere in tale dimensione spesso il primo passo necessario è individuare chi effettivamente detenga il potere economico all’interno della realtà societaria. Ci si può riferire, in tal senso, al concetto di potere storico.

L’analisi deve vertere sulla proprietà dell’impresa, concetto giuridico che, se concretamente declinato, conosce un ampio ventaglio si sfumature.

 

L’ulteriore considerazione da effettuarsi, ai fini di una miglior comprensione della tematica, concerne il tessuto socio – economico italiano, e la consapevolezza del fatto che questo sia formato principalmente da piccole medie imprese. In tale contesto il sistema giudiziario si trova spesso a doversi confrontare con il fenomeno degli amministratori c.d. teste di paglia, laddove l’effettivo gestore risulti poi essere il proprietario.

 

Inoltrandosi ancor di più nel profilo patologico della questione, un secondo tema ricorrente è legato all’intrinseco conflitto di interesse dei controlli. In materia di bilanci la difficoltà nasce dall’impossibilità di poter parlare di potere gestorio senza aver ricordato che, in una dimensione sostanzialistica, il primo potere appartiene ai soci.

 

 

6. Conclusioni

 

Il Convegno ha fornito numerosissimi spunti di riflessione, passando in rassegna i profili più critici della tematica e ponendosi in ottica costruttiva nel tentativo di delineare possibili soluzioni.

Occasioni simili ci permettono, da un lato, di calarci nella realtà e prendere coscienza delle problematiche concrete; dall’altro, partendo proprio dalla consapevolezza del mal funzionamento, stimolano gli operatori del settore ad ampie riflessioni in ottica migliorativa.

 

Nonostante ciò, resta fondamentale tenere distinta la patologia dalla fisiologia, nonché operare su binari distinti in ragione della tipologia societaria con cui ci si confronta.

Ciò che emerge con chiarezza è la presenza di numerose carenze operative che minano l’intero sistema. L’opaco rapporto tra proprietà e gestione, tra assetti organizzativi e business judgment rule, tra quest’ultima e la mala gestio, nonché il discrimine tra una dichiarazione di decadenza per effettiva mancanza di indipendenza di giudizio o una pretestuosa dichiarazione di decadenza per eliminare l’amministratore ‘’scomodo’’, solo per citarne alcune.

 

Il leitmotiv sembra essere questa labilità di confine tra diversi istituti, che rende particolarmente arduo orientarsi e disincentiva, di conseguenza, la propensione alla carica di amministratore. Incertezza che porta necessariamente ad inefficacia.

 

Con un’ulteriore difficoltà. Tutte le riflessioni che precedono devono essere declinate nell’attuale momento storico, che vede protagonista una forte transizione, con due differenti aggettivazioni: una transizione ecologica, e una transizione digitale. Quest’ultima in particolare avrà un impatto totalizzante sulla realtà in questa sede oggetto d’analisi: gli strumenti digitali diverranno sia strumenti di pianificazione, sia oggetto della stessa.

Il presente e il futuro dovranno pertanto confrontarsi con una nuova sfida: l’alfabetizzazione informatica.