La responsabilità della persona giuridica e quella dell’autore del reato: la Corte di Giustizia afferma che all’ente vadano riconosciute le medesime garanzie fondamentali

di  Anna Pampanin,  Dottoranda di ricerca in Diritto Penale

 

 

 

1. Introduzione

Con la sentenza del 10 novembre 2022, di cui sono state recentemente rese note le motivazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata in merito alla causa C-203/21, affrontando il tema del rapporto tra la contestazione mossa ad una persona fisica che agisce per conto dell’ente e quella che interessa direttamente il soggetto giuridico.

 

Con il provvedimento in parola la Corte ha sancito che all’ente debbano essere applicate le medesime garanzie fondamentali riconosciute all’imputato persona fisica dalla normativa dell’Unione europea.

 

Più specificatamente, i Giudici europei hanno ritenuto che l’art. 48, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE – secondo cui ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata – «deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale il giudice nazionale può irrogare a una persona giuridica una sanzione penale per un reato di cui sarebbe responsabile una persona fisica che ha il potere di contrarre obblighi per tale persona giuridica o di rappresentarla, nel caso in cui a quest’ultima non sia stata data la possibilità di contestare la sussistenza di detto reato».

 

La pronuncia assume rilevanza anche nell’ordinamento interno ai sensi del d.lgs. 231/2001, avendo la Corte di Cassazione, a più riprese, sottolineato la diversità tra l’illecito amministrativo ascrivibile alla persona giuridica e il reato ‘‘presupposto’’, che sarebbe ricompreso nel primo (cfr., Cass.Pen., Sez. VI, sent. n. 2899/2016 e Cass.Pen., Sez. Sez. III, sent. n. 30685/2022). Secondo tale impostazione, facendo leva sull’art. 8 del citato decreto – che declina il principio di autonomia della responsabilità dell’ente – l’affermazione della responsabilità della persona giuridica non presupporrebbe necessariamente un definitivo e completo accertamento della responsabilità penale dell’imputato, essendo di contro sufficiente un mero accertamento incidentale della stessa.

 

 

2. La vicenda processuale: il rinvio del Tribunale regionale bulgaro e i riferimenti normativi

La sentenza in commento prende impulso dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Okrazhen sad – Burgas (Tribunale regionale di Burgas, Bulgaria).

 

Tale domanda venne presentata nell’ambito del procedimento penale a carico della DELTA STROY 2003 EOOD (in prosieguo Delta Stroy), con sede a Burgas, ai fini dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria a tale società per un reato relativo all’imposta sul valore aggiunto (IVA) contestato alla sua amministratrice e rappresentante (Z.K.).

 

Il 5 agosto 2019 Z.K. venne accusata, ai sensi dell’art. 255, par. 1, punti 2 e 3 del codice penale bulgaro, di aver eluso in forma continuata il pagamento di debiti fiscali per un totale di BGN 11388,98 (somma equivalente, in euro, a circa EUR 5800), corrispondenti all’IVA dovuta per i periodi fiscali di marzo, aprile e luglio 2009.

 

Sulla base di tale procedimento, ancora pendente alla data di proposizione della domanda di pronuncia pregiudiziale, il 9 dicembre 2020 il Procuratore regionale di Burgas ha avviato una seconda e distinta procedura giudiziaria avente ad oggetto, appunto, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria alla Delta Stroy, ai sensi degli artt. 83a e ss. della legge bulgara sugli illeciti amministrativi e sulle sanzioni (DV n. 92 del 28 novembre 1969, nel prosieguo lo «Zann»).

 

Ai fini di una miglior comprensione della vicenda in esame, è bene precisare che il capitolo 4 del provvedimento normativo da ultimo citato – intitolato «Sanzioni amministrative a carattere penale a carico delle persone giuridiche e ai singoli imprenditori» –, detta i presupposti e le modalità per l’applicazione di una sanzione pecuniaria alla persona giuridica che si sia arricchita o possa arricchirsi a seguito del compimento di uno dei reati espressamente indicati dalla legge stessa.

 

Più dettagliatamente, per quanto interessa in questa sede, all’art. 83d, punto (5), la legge elenca gli elementi attraverso il cui accertamento il Tribunale debba ricostruire la responsabilità dell’ente.

La norma sancisce che il Tribunale esamina il caso e stabilisce:

  1. se la persona di cui trattasi abbia ottenuto un vantaggio illecito;
  2. se esista un legame tra l’autore del reato e la persona giuridica;
  3. se esista un nesso tra il reato e il vantaggio ottenuto dalla persona giuridica;
  4. quali siano la natura e il valore del vantaggio, se si tratta di un vantaggio patrimoniale.

Come emerge, tra gli elementi che il giudice penale è tenuto a valutare al fine di irrogare alla persona giuridica un’eventuale sanzione pecuniaria non figura l’effettiva verifica della commissione di un reato ad opera della persona fisica.

Pertanto, il procedimento ai sensi degli artt. 83a e ss. dello Zann consentirebbe, di fatto, di irrogare ad una persona giuridica una sanzione fondata unicamente sugli elementi dell’accusa formulata nei confronti della persona fisica con riferimento a uno specifico reato la cui sussistenza non è stata ancora accertata con decisione giurisdizionale passata in giudicato.

È questo, come già premesso in partenza, il punto centrale della sentenza oggetto d’analisi.

Ciò che viene contestato dal Tribunale regionale bulgaro prima (in sede di rinvio), e dalla Corte di Giustizia poi (in sede decisionale), riguarda il fatto che alla Società sia stata irrogata una sanzione per il reato connesso dall’amministratrice, prima ancora che la sussistenza di detto reato fosse accertata in capo alla persona fisica.

 

In particolare, gli artt. 48 e 49 della Carta e l’art. 7 della Cedu ostano a che una sanzione di natura penale possa essere inflitta a un individuo senza che sia previamente accertata e dichiarata la sua responsabilità penale personale, risultando altrimenti violato il sacro baluardo della presunzione di innocenza.

Alla luce di quanto evidenziato, il Tribunale del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale, che merita di essere integralmente e testualmente richiamata:

«Se gli articoli 4 e 5 della decisione quadro 2005/212 e l’articolo 49 della [Carta] debbano essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro in base alla quale, in un procedimento come quello principale, il giudice nazionale può infliggere una sanzione a carico di una persona giuridica fissando l’importo di tale sanzione nell’importo del profitto che sarebbe stato ottenuto mediante un determinato reato la cui commissione non è stata ancora accertata perché oggetto di un procedimento penale parallelo non ancora concluso in via definitiva».

 

 

3. La decisione della Corte di Giustizia

 

Dopo aver preliminarmente riconosciuto la propria competenza a pronunciarsi sulla questione, la Corte di giustizia ha specificato che secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra i giudici nazionali e la [medesima] Corte istituita dall’art. 267 TFUE, spetta a quest’ultima, qualora necessario, il compito di riformulare i quesiti che le vengono sottoposti al fine di dirimere le controversie di cui è investita. La Corte ha infatti il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili alla risoluzione della controversia giuridica, anche nel caso in cui tali norme non siano espressamente indicate nella formulazione delle questioni.

 

 

3.1. I profili giuridici della questione  

Prima di addentrarsi nel merito della questione, la Corte ha effettuato alcuni rilievi di carattere preliminare.

 

Richiamando l’art. 52, par. 3, della Carta – il quale sancisce che laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti da tale convenzione – i giudici europei hanno riformulato la questione pregiudiziale.

 

Nel caso di specie, si legge in motivazione, è necessario garantire che l’interpretazione fornita all’art. 49 della Carta assicuri un livello di protezione che non violi quello garantito dall’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima ha dichiarato che l’art. 7 della CEDU osta a che una sanzione di natura penale possa essere inflitta a un individuo senza che sia previamente accertata e dichiarata la sua responsabilità penale personale, risultando altrimenti violata anche la presunzione di innocenza garantita dall’art. 6, par. 2, della CEDU ed espressamente richiamata dall’art. 48, par. 1, della Carta.

Alla luce delle considerazioni effettuate, nonché alla luce dell’oggetto della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, riguardante, in sostanza, l’attribuzione in via presuntiva di una responsabilità penale a una persona giuridica per atti del suo rappresentante e amministratore, è sufficiente, secondo la ricostruzione della Corte, nell’ambito della risposta da fornire a tale questione, fare riferimento non già all’art. 49, bensì all’art. 48 della Carta, il quale deve essere interpretato garantendo un livello di protezione che non violi quello garantito all’art. 6 della CEDU.

 

 

3.2. La decisione nel merito

Il richiamo all’art. 48 della Carta quale norma dirimente per la soluzione della questione è funzionale all’inquadramento specifico della tematica. Ai sensi del primo paragrafo di tale norma ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tale principio trova applicazione ove si tratti di determinare gli elementi oggettivi costitutivi di un’infrazione che può portare all’inflizione di sanzioni amministrative aventi carattere penale.

 

Inoltre, l’art. 48, par.2, della Carta enuncia che il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato, e che esso costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione.

 

Come già evidenziato nel corso della descrizione della vicenda processuale, ad avviso del giudice del rinvio, da una lettura congiunta delle norme dello Zann risulta che una persona giuridica possa essere sanzionata penalmente, in maniera definitiva, a seguito di un reato imputato alla persona fisica che ha il potere di contrarre obblighi per tale persona giuridica o di rappresentarla, senza che il giudice competente possa valutare l’esistenza di tale reato e senza che la persona giuridica possa esporre utilmente le sue osservazioni in proposito.

 

Da un lato, infatti, il Tribunale competente deve esaminare il caso alla luce dei soli elementi previsti dal già richiamato art. 83d, par.5, dello Zann – tutti basati sul presupposto che sia stato commesso un reato –, senza poter tuttavia valutare la sussistenza di detto presupposto; dall’altro, non risulta che la persona giuridica disponga di un ricorso giurisdizionale esteso al merito che le consenta di contestare, in una fase successiva del procedimento avviato nei suoi confronti, l’effettiva sussistenza di un reato.

Una situazione di tal genere è idonea ad arrecare un pregiudizio manifestamente sproporzionato al principio di presunzione di innocenza nonché ai diritti della difesa, garantiti a detta persona giuridica dall’art. 48 della Carta.

 

Specifica ancora la Corte che, se è pur vero che l’art. 48 della Carta non osta a che uno Stato membro introduca presunzioni di fatto o di diritto, rendendo punibile un fatto materiale oggettivamente considerato, detto Stato membro è tenuto a contenere le presunzioni contemplate dalle leggi penali entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e rispettando i diritti della difesa e la presunzione di innocenza sancita al paragrafo 1 di detto articolo.

 

Ne consegue che, nel caso di specie, la persona giuridica non è in grado di esercitare utilmente i suoi diritti della difesa, non potendo contestare la sussistenza di tale reato e dovendo subire, in definitiva, le conseguenze dell’esistenza di un procedimento distinto avviato contro la persona fisica che ha il potere di contrarre obblighi per tale persona giuridica o di rappresentarla.

 

Infine, il fatto che la procedura istituita dagli artt. 83a e ss. dello Zann sia finalizzata a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione assicurando una corretta riscossione dell’IVA, non è sufficiente a giustificare una lesione sproporzionata delle garanzie contenute nell’art. 48 della Carta.

In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte di giustizia ha ritenuto che «risulta che l’articolo 48 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale il giudice nazionale può irrogare a una persona giuridica una sanzione penale per un reato di cui sarebbe responsabile una persona fisica che ha il potere di contrarre obblighi per tale persona giuridica o di rappresentarla, nel caso in cui a quest’ultima non sia stata data la possibilità di contestare la sussistenza di detto reato».

 

 

4. Conclusioni

 

Con la pronuncia in esame la Corte di giustizia ha affermato che alla persona giuridica vadano applicate le medesime garanzie e gli stessi diritti fondamentali riconosciuti alla persona fisica.

 

Come già anticipato la decisione potrebbe avere dei riflessi anche sull’ordinamento interno, fornendo alcuni spunti di riflessione in tema di compiuto accertamento del reato presupposto quale elemento fondamentale (e prodromico) nel processo all’ente.

 

La giurisprudenza italiana, sul punto, si è in passato espressa in termini differenti. In molteplici occasioni la Corte di Cassazione ha interpretato l’art. 8 del d.lgs. 231/2001 – che declina il principio di autonomia della responsabilità dell’ente – sottolineandone la funzione processuale. Il principio di autonomia opererebbe, infatti, sul piano dell’accertamento processuale, in chiave di alleggerimento probatorio dell’onere dimostrativo della pubblica accusa che si accinge a perseguire un corporate crime; qualora non sia identificato l’autore del reato, all’accusa sarò sufficiente allegare elementi indiziari (Cass. Pen., Sez. V, sent. 1091/2013).

 

Da una simile interpretazione vi è il rischio possa discendere l’affermazione secondo cui per la definizione della responsabilità dell’ente non sarebbe necessario il definitivo accertamento della responsabilità penale della persona fisica, essendo sufficiente un mero accertamento incidentale della stessa.

 

In tale contesto la sentenza oggetto d’analisi segna un punto importante, riconoscendo, ancora una volta, la centralità del principio di colpevolezza e della presunzione di innocenza nella materia penale in uno stato di diritto, questa volta con riferimento alle persone giuridiche.