La responsabilità penale degli amministratori per la gestione del rischio nei gruppi d’imprese

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

A quasi quindici anni di distanza dalla strage di Viareggio, l’Associazione fra le società per azioni italiane (Assonime) pubblica un documento dal titolo “Di cosa rispondono gli amministratori nelle organizzazioni complesse? La gestione del rischio nei gruppi d’imprese e la responsabilità penale: il caso Viareggio”.

 

Il dossier si occupa di commentare, in modo critico, le pronunce della Corte di Cassazione, n. 32899 dell’8 gennaio 2021 e della Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio, n. 2719 del 20 settembre 2022, sulla vicenda giudiziaria relativa all’incidente ferroviario avvenuto presso la stazione di Viareggio la notte del 29 giugno 2009.

 

La pubblicazione di questo documento oltre a soffermarsi sulle principali criticità presenti nelle suddette pronunce giurisprudenziali rappresenta, altresì, un’occasione per tornare sul tema dell’attribuzione di responsabilità penale ai soggetti individuali nell’ambito dei gruppi di impresa. La tematica è estremamente attuale ed assume grande rilevanza dal momento che la struttura del gruppo d’impresa costituisce il tipico modello organizzativo adottato dalle società medio-grandi per lo svolgimento della propria attività che permette a ciascuna di mantenere la propria autonomia giuridica e decisionale.

 

In premessa, Assonime anticipa la sua posizione avversa nei confronti delle ultime sentenze sul caso Viareggio, affermando che le osservazioni espresse dalla Suprema Corte, e in sede di rinvio dalla Corte d’appello, nonché la ricostruzione della responsabilità per i reati colposi di evento appaiono «incompatibil(i) con il principio di correlazione tra poteri, doveri e responsabilità all’interno delle organizzazioni complesse» (vedi p. 2 del documento). L’effetto paradossale che deriverebbe dall’interpretazione accolta dai giudici di legittimità consiste nell’aver attribuito la responsabilità per colpa generica in capo a tutti i vertici delle diverse società del gruppo, indipendentemente dalla ripartizione dei ruoli e competenze, sino a ricomprendere la responsabilità dell’amministratore delegato della capogruppo per fatti commessi all’interno di una società controllata.

 

È dunque su tali aspetti che si focalizzerà il presente commento, dopo aver brevemente ripercorso la vicenda giurisprudenziale per come ricostruita nel documento di Assonime.

 

 

 

2. L’incidente ferroviario di Viareggio nei tre gradi di giudizio

 

Il grave disastro ferroviario, che coinvolse il gruppo Ferrovie dello Stato e i suoi vertici di allora, si verificò il 29 giugno 2009 a Viareggio quando un grave incendio, seguito al deragliamento di un treno merci e alla fuoriuscita di GPL da uno dei carri cisterna, provocò la morte di trentadue persone e lesioni gravi o gravissime di altre.

 

Dalle perizie si constatò che la causa del deragliamento del treno merci e della successiva fuoriuscita di GPL fu il cedimento dell’assile del primo carro cisterna del treno, recentemente revisionato da un’officina tedesca di proprietà di una delle due società estere che successivamente avevano noleggiato alla società italiana.

In primo grado, il Tribunale condannava per i reati di incendio, disastro ferroviario, omicidio e lesioni colpose gli amministratori e i dirigenti di alcune società del gruppo Ferrovie, nonché di alcune società estere che si erano occupate della manutenzione del carro.

 

Dalle perizie risultava che una corretta manutenzione del carro ad opera delle società tedesche che dovevano controllare la revisione dell’assile, nonché l’adozione di un controllo sull’adeguatezza dei processi manutentivi e l’adozione di misure preventive relative al trasporto di merci pericolose ad opera della società ferroviaria italiana avrebbero evitato il disastro.

I giudici individuavano, pertanto, la responsabilità delle persone fisiche sulla base di due principali condotte: quella di violazione di specifiche regole tecniche per una corretta manutenzione dell’assile e quella derivante da una mancata valutazione del rischio ed una omessa individuazione di regole cautelari non positivizzate che avrebbero evitato l’evento lesivo (obbligo di tracciabilità e limiti di velocità, per la cui trattazione si rinvia ai parr. 3.1 e 4).

 

Al contrario, si assolveva l’amministratore delegato della società capogruppo, non sussistendo elementi che potessero far derivare una posizione di garanzia in capo al soggetto né che potessero ricondurre il suo ruolo a quello di amministratore di fatto delle controllate.

Quanto poi alle persone giuridiche, si condannavano alcune delle imprese coinvolte a titolo di responsabilità amministrativa degli enti per l’illecito di cui all’art. 25 septies d.lgs. n. 231/2001, dal momento che si qualificavano i delitti di omicidio e lesioni colpose come delitti commessi in violazione delle norme sulla tutela e sicurezza sul lavoro.

 

Sul ricorso proposto dal pubblico ministero si pronunciava la Corte d’Appello di Firenze, sent. n. 3733 del 16 dicembre 2019, che riformando la sentenza di primo grado condannava l’amministratore delegato della holding qualificandolo come amministratore di fatto delle controllate: nella specie, anche lui insieme agli amministratori delle altre società imputate avrebbe dovuto adottare tutte le cautele necessarie ad evitare il deragliamento del treno.

Il caso giunge dinanzi alla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 32899/2021 riqualifica i delitti, escludendo la ricorrenza della circostanza aggravante per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, dichiara prescritti per tutti gli imputati (salva rinuncia alla prescrizione dell’a.d. della holding) i reati di omicidio colposo, incendio e lesioni, mentre per gli stessi soggetti conferma le condanne per disastro colposo, ai sensi degli artt. 430 e 449 c.p. Inoltre, annulla per altri la sentenza, rinviando a un secondo giudizio di appello per l’accertamento di specifici profili di colpa.

Quanto poi alla figura dell’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, i giudici di legittimità confermano la condanna di quest’ultimo, ma ne modificano il titolo e la condotta. In particolare, con un’esegesi innovativa riconoscono la sua responsabilità sulla base non di una condotta omissiva, ma di una commissiva, consistente in un “esercizio colposo dei poteri di direzione e coordinamento”. Nel dettaglio, l’a.d. della capogruppo aveva adottato – a livello apicale – una scelta di politica aziendale che escludeva uno specifico dovere, in capo alle controllate, di effettuare una verifica documentale delle manutenzioni eseguite su carri esteri (c.d. obbligo di tracciabilità). Mentre, con riferimento all’accertamento della responsabilità per la violazione della regola cautelare del “limite di velocità”, la Corte rinviava alla sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio.

 

 

 

3. Le principali criticità della sentenza della Corte di Cassazione individuate da Assonime. Le sfere di responsabilità colposa nelle organizzazioni complesse.

Una volta ripercorsa l’articolata vicenda giudiziaria, Assonime analizza nello specifico i vari punti della sentenza di legittimità maggiormente dibattuti.  In particolar modo, nel documento si sollevano dubbi in relazione ai criteri utilizzati dalla Suprema Corte per ascrivere a soggetti apicali all’interno di un’organizzazione societaria complessa una responsabilità colposa, nonché, a monte, in merito alla possibilità di far derivare una colpa dalla violazione di regole cautelari non positivizzate in un settore ad alto rischio ed estremamente specializzato come quello del trasporto ferroviario.

 

In questo scenario, inoltre, particolarmente critico risulta il profilo riguardante l’accertamento della responsabilità colposa dell’amministratore delegato della società capogruppo per il verificarsi dell’incidente ferroviario.

 

Prendendo le mosse da questioni di ordine più generale, il documento osserva che la pronuncia della Corte richiama i principi di diritto ampiamente consolidatisi in materia di imputazione colposa, segnalandone tuttavia una certa contraddittorietà nell’applicazione in un contesto societario caratterizzato da un’elevata frammentazione di ruoli e competenze per la gestione del rischio.

 

Innanzitutto, i giudici di legittimità segnalano un utilizzo improprio da parte dei giudici di merito del concetto di posizione di garanzia e della conseguente responsabilità omissiva dei singoli imputati, ai sensi dell’art. 40 co. 2 c.p. Nel contesto societario, secondo la Corte, sembrerebbe più adeguato fare riferimento ai concetti di “garante del rischio” – quale soggetto titolare di una competenza diretta e autonoma nella gestione di uno specifico rischio, attraverso l’adozione delle cautele necessarie a presidiarlo – e di “sfere di responsabilità”, come peraltro già elaborati dalle Sezioni Unite nella nota vicenda Thyssenkrupp.

 

Nondimeno, nel documento si segnala che il Supremo collegio nel caso Thyssenkrupp nell’introdurre il concetto di “garante per il rischio” nella struttura aziendale, ha tenuto conto dell’esistenza nelle organizzazioni complesse di una frammentazione di ruoli e competenze, deputate a prevenire specifici rischi e, conseguentemente, ha preso atto del fatto che sulla base del sistema di ripartizione interna e dei poteri attribuiti ai vari soggetti si potranno avere molteplici centri di imputazione della responsabilità penale.

 

Diversamente – constata Assonime – non giunge al medesimo risultato la Cassazione nel caso Viareggio, dal momento che, pur richiamandone i principi, finisce per ascrivere la responsabilità a tutti i vertici aziendali, in modo indistinto e senza tener conto del quadro delle diverse figure di garanti deputati al controllo dello specifico rischio della sicurezza della circolazione ferroviaria.

 

Pertanto, nel dossier si denuncia proprio questo effetto paradossale di giungere, da un lato, ad attribuire una responsabilità per colpa generica a tutti i vertici societari delle diverse società e, dall’altro, ad assolvere proprio le figure deputate all’interno dell’organigramma aziendale a presidiare dello specifico rischio, minando il principio di correlazione tra potere-dovere di gestione del rischio.

 

 

 

3.1. L’accertamento della violazione delle regole cautelari non scritte alla base del giudizio di responsabilità per colpa dei vertici delle società

Ulteriore profilo critico della sentenza di legittimità che viene sottolineato da Assonime è quello riguardante l’accertamento delle regole cautelari poste alla base dell’imputazione della responsabilità colposa.

 

Nel caso concreto, già i giudici di merito avevano ricondotto le imputazioni delle persone fisiche a due tipologie di condotte (che ricorreranno in tutti i successivi gradi di giudizio): quelle relative alla violazione di specifiche regole tecniche per una corretta manutenzione dell’assile e quelle connesse a deficit organizzativi nella valutazione del rischio e nella conseguente individuazione delle regole cautelari dirette ad evitare il verificarsi dell’evento. Queste ultime, in particolare, erano state individuate dal giudice nel cd. “obbligo di tracciabilità”, cioè nel dovere in capo ai vertici della società di trasporto e ai vertici del gestore della rete ferroviaria di effettuare una verifica documentale delle manutenzioni che erano state eseguite sui carri ad opera delle società estere, ancorché non richiesta dalla disciplina comunitaria che regola la circolazione ferroviaria interstatale. Infine, in capo ai vertici del gestore della rete ferroviaria (RFI S.p.A.) veniva imputata anche la violazione del dovere di imporre un “limite di velocità” ai convogli trasportanti merci pericolose entranti in stazione.

 

In modo conforme, la Cassazione delinea i caratteri tipici della regola cautelare volta a prevenire il rischio di verificazione dell’evento ed afferma che questa deve sorgere da una consolidata esperienza che ne attesti la prevedibilità, deve essere individuabile ex ante e non deve essere necessariamente scritta in una fonte normativa.  Pertanto, secondo il Supremo collegio, anche nei settori caratterizzati dall’osservanza di regole cautelari scritte può sempre residuare un margine di responsabilità per “colpa generica” per violazione del principio generale del “neminem ledere”.

 

Così disponendo, agli imputati vertici delle società viene attribuita una responsabilità derivante non solo dalla violazione di specifiche regole tecniche positivizzate, ma altresì dalla violazione della regola cautelare del “limite di velocità” ai convogli entranti in stazione e dalla violazione della regola cautelare non scritta definita come “obbligo di tracciabilità”. Quanto poi a quest’ultima, la Corte poneva a fondamento del giudizio di responsabilità una prassi cautelare non scritta che avrebbe dovuto imporre l’acquisizione da parte dei vertici e dei tecnici della documentazione sulla storia manutentiva del carro estero, quale condizione del suo utilizzo e della sua circolazione in Italia.

 

È su questi passaggi argomentativi che si concentra la critica mossa da Assonime, che non condivide l’interpretazione, peraltro oggetto di ampio dibattito in dottrina, che fa residuare un margine di colpa generica anche in settori che sono pervasi da regole cautelari connotate da un grado elevato di specificità. La certezza della cautela, si obietta, è «un elemento di grande importanza per l’attuazione dei doveri di prevenzione imposti dalle diverse discipline penali che regolano l’attività d’impresa». Nel caso di specie, quella della circolazione ferroviaria costituisce un’attività fortemente rischiosa, tale per cui è opportuno che sia coperta da «norme specifiche fondate su saperi scientifici riconosciuti».

 

Al contrario, accogliere la teoria della c.d. “colpa generica integratrice” porterebbe «da un lato, ad attribuire al giudice il ruolo di “creatore della regola cautelare” e, dall’altro, a vanificare gli sforzi normativi di definire regole tecniche frutto del sapere scientifico ed esperienziale al fine di affermare una responsabilità penale fondata sui principi di colpevolezza, tassatività e determinatezza della fattispecie».

 

Inoltre, i dubbi di Assonime sulla sentenza di legittimità investono anche il piano della causalità della colpa e dell’efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito individuato dalla Corte nell’obbligo di tracciabilità. Dalle analisi effettuate dall’autorità di vigilanza ferroviaria tedesca (EBA) – racchiuse in un’ordinanza citata in sentenza – emergerebbe che l’unica misura dotata di efficacia impeditiva del disastro ferroviario era costituita dall’esecuzione e dalla ripetizione costante dell’attività manutentiva. Pertanto, a nulla sarebbe servito il rispetto dell’obbligo di tracciabilità, cautela eccessivamente lontana sul piano del nesso causale dall’impedimento dell’evento lesivo.

 

 

 

3.2. La responsabilità dell’amministratore delegato della holding per l’esercizio colposo dei poteri di direzione e coordinamento

Tra i vari aspetti della sentenza della Corte di Cassazione, Assonime conferisce notevole rilevanza al tema dell’accertamento della responsabilità colposa dell’amministratore delegato della società capogruppo per l’incidente ferroviario.

 

Sulla scia della pronuncia della prima Corte d’appello, i giudici di legittimità confermano la condanna dell’amministratore delegato per la violazione dell’obbligo di tracciabilità, modificando tuttavia, la condotta e il titolo in base al quale il soggetto rispondeva. La Corte rifiuta una qualificazione della responsabilità come omissiva e l’esistenza di una posizione di garanzia e, al contrario, condanna l’amministratore delegato della holding riconoscendo una responsabilità diretta per l’esercizio colposo dei poteri di direzione e coordinamento.

 

In altre parole, secondo la Corte il soggetto è responsabile di una condotta commissiva consistente nell’aver imposto, all’interno del gruppo societario, l’inosservanza della regola cautelare dell’obbligo di tracciabilità in virtù di una precisa scelta di politica aziendale.

 

La titolarità di una competenza autonoma e diretta dell’a.d. della capogruppo nella gestione del rischio, in parallelo con gli amministratori delle controllate, prosegue la Corte, era desumibile da alcuni fattori già individuati in appello tra cui, l’oggetto sociale statutario della capogruppo – consistente nella realizzazione e gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario – l’accentramento delle funzioni e dei servizi in capo alla holding (funzione audit di gruppo) e le direttive sulla sicurezza sul lavoro.

 

Alla luce di questa posizione giurisprudenziale Assonime denuncia la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui «confonde i profili di una lecita condotta gestoria e di un legittimo esercizio della direzione e coordinamento con l’indebita e pregiudizievole ingerenza dell’amministratore della holding nella gestione delle società controllate, riconducendo così, impropriamente, in capo allo stesso amministratore un fascio operativo di poteri che gli avrebbe consentito di incidere sulla gestione del rischio affidata sul piano operativo alle società controllate».

 

Infatti, continua il documento, la sentenza de qua finisce per imputare la responsabilità penale all’amministratore delegato della holding per il semplice fatto di aver compiuto atti gestori – consistenti nel caso di specie nell’aver scelto l’utilizzo di carri provenienti da paesi terzi senza attuare controlli documentali ulteriori – che rientrano legittimamente nei suoi poteri di scelta discrezionale.

 

 

 

4. L’assoluzione delle figure deputate al controllo del rischio nelle società controllate. La nuova pronuncia della Corte d’appello

Infine, il documento si sofferma su alcuni profili emergenti dalla sentenza della Corte d’Appello di Firenze emanata in sede di rinvio. Quest’ultima era stata chiamata a pronunciarsi sui profili di colpevolezza di tutte le figure dell’organigramma aziendale del gruppo deputate al controllo dello specifico rischio della sicurezza della circolazione ferroviaria (in particolar modo, sulle figure del responsabile dell’Unità produttiva “Direzione Ingegneria, Sicurezza e Qualità di Sistema di Trenitalia” e del responsabile della struttura organizzativa “Certificazione Sicurezza Imprese”).

 

I dubbi sollevati dalla Corte di Cassazione circa la sussistenza di una loro responsabilità per violazione della regola cautelare relativa alla prescrizione di un limite di velocità – confermata nei primi due gradi di giudizio – si basavano sul fatto che i giudici di merito avevano individuato quest’ultima in modo del tutto generico e sulla base di valutazioni che non erano disponibili al momento del verificarsi dell’evento. Pertanto, era necessario accertare se: «in rapporto alle contingenze particolari del caso concreto, tenuto conto delle caratteristiche dei diversi fattori pertinenti […] fosse acquisita al sapere scientifico o esperienziale la valenza cautelare di una determinata misura della velocità di attraversamento di una stazione aventi le caratteristiche di quella di Viareggio, da parte di un convoglio aventi le caratteristiche di quello sviato».

 

In secondo luogo, anche per quanto riguarda la regola cautelare dell’obbligo di tracciabilità i giudici di legittimità divergevano dalle conclusioni dei giudici di merito alla luce del fatto che nel corso del giudizio era emersa l’esistenza di una prassi interpretativa aziendale promanante dai vertici aziendali consistente nel non prevedere un obbligo di tracciabilità, che precludeva la possibilità in capo ai soggetti responsabili di contestare la politica aziendale e che quindi valeva ad escludere una responsabilità in capo ai suddetti soggetti.

 

Sul primo punto la Corte d’appello in sede di rinvio escludeva la responsabilità dei vertici delle società coinvolte per violazione della regola cautelare del limite di velocità – consistente nell’adozione di limiti di velocità nei casi di trasporto di merci pericolose – sulla base del fatto che la sua valenza cautelare non era prevedibile ex ante, ma era stata individuata dagli imputati solo in seguito al disastro ferroviario. Pertanto, non poteva quest’ultima costituire la regola cautelare sulla cui base fondare un giudizio di responsabilità penale perché avrebbe minato i principi della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento.

 

Quanto invece al secondo punto, la Corte d’appello nel richiamare in via preliminare i principi di diritto espressi dai giudici di legittimità, osservava che: «seppure tali soggetti avessero segnalato la diversa interpretazione delle norme nel senso precauzionale dell’imposizione dell’obbligo di tracciabilità, non sarebbe stato certo che la prassi aziendale sarebbe cambiata e, dunque, che il disastro sarebbe stato evitato».

 

Nel riportare le conclusioni della Cassazione e della Corte d’appello in sede di rinvio, Assonime dissente da un tale esito assolutivo denunciando l’illogicità del percorso esegetico adottato dai giudici in quanto «non può condividersi l’assunto per cui la politica aziendale dei vertici […] avrebbe impedito agli effettivi “garanti per il rischio” di adottare le misure idonee a garantire la sicurezza della circolazione ferroviaria». Irragionevole conseguenza sarebbe quella di escludere la responsabilità delle figure che all’interno dell’organizzazione aziendale erano deputate a controllare lo specifico rischio oggetto di causa e adottare le specifiche misure cautelari idonee ad evitare l’evento.

 

Al contrario, la pronuncia della Corte di Cassazione e della seconda Corte d’Appello di Firenze, seppur richiamano i principi generali affermati dalla giurisprudenza penale in materia di responsabilità dell’impresa, non ne tengono conto nel momento in cui esaminano i diversi ruoli degli imputati all’interno dell’organizzazione di gruppo, ma operano una ricostruzione della responsabilità per i reati colposi di evento incompatibile con i principi che governano la gestione del rischio penale all’interno dei gruppi societari.

 

Pertanto, ribadisce Assonime nelle conclusioni, le due pronunce, nell’assolvere i soggetti deputati a presidiare lo specifico rischio nelle diverse società del gruppo e nel condannare l’amministratore delegato della holding determinano in sostanza «un’allocazione delle responsabilità incompatibile con il principio di correlazione tra poteri, doveri e responsabilità all’interno delle organizzazioni complesse, e pertanto lesivo dei principi di personalità, tassatività e determinatezza della responsabilità penale».

 

 

 

Il documento di Assonime è consultabile al seguente link