Corporate crime: le recenti osservazioni del Deputy Attorney General degli U.S.A.

di Pierpaolo Astorina Marino,Ricercatore di Diritto penale(RDT-B); Avvocato; membro dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (ASGP)

 

Dopo il discorso dell’ottobre 2021, Lisa Monaco, Deputy Attorney General degli Stati Uniti, ospite presso l’Università di New York, ha affrontato alcuni punti importanti del lavoro che il Dipartimento di Giustizia (DOJ) sta svolgendo, con lo scopo di adottare politiche effettive ed efficaci nei confronti della criminalità d’impresa.

 

Come noto ai lettori, negli Stati Uniti lo strumento privilegiato nel contrasto al corporate crime sono i pre-trial diversion agreement (PDA) nelle due forme negoziali dei non prosecution agreements (NPA) e dei deferred prosecution agreements (DPA).

 

Nel primo caso (NPA) il prosecutor accetta di non sporgere accuse formali contro la società indagata, a fronte di comportamenti virtuosi; nel secondo caso (DPA) presenta le accuse, ma decide di rinunciare temporaneamente all’esercizio dell’azione penale, offrendo una via di uscita negoziale dal processo penale. Se l’impresa non rispetta i termini previsti, può incorrere in sanzioni penali e l’accusa può utilizzare a proprio favore le dichiarazioni sui fatti in cui emerge la colpevolezza dell’ente.

 

Sin dal suo primo discorso, Lisa Monaco ha mostrato una torsione più severa nei confronti delle società, volta a scongiurare che i PDA diventino un «free pass» [1].

 

Tuttavia, i primi commentatori hanno auspicato che, almeno questa volta, il DOJ fornisse chiarezza e trasparenza in merito ai criteri applicati nell’esercizio della discrezionalità dell’accusa, nella valutazione dei programmi di conformità e nella concessione del credito per l’autodenuncia e la cooperazione aziendale, mostrando al contempo preoccupazione per gli inutili ritardi e per l’aumento di spese, conseguenza quasi inevitabile di tale approccio. Hanno esortato, peraltro, a una rinnovata attenzione al monitoraggio aziendale, da applicare solo nei casi in cui la compliance aziendale risulti inefficace[2].

Ebbene, le parole di Lisa Monaco del 15 settembre scorso sembrano giustappunto rispondere ad alcune di queste critiche.

In questo suo ultimo discorso, Monaco ricorda, oltre all’istituzione del Corporate Crime Advisory Group, gli incontri avvenuti con, tra gli altri, esperti del settore aziendale, imprese di interesse pubblico, accademici, membri del comitato di revisione, procuratori, monitor, avvocati della difesa, al fine di assumere una prospettiva il più ampia possibile del sistema.

 

Stante la centralità della responsabilità personale, l’impostazione seguita nei confronti della criminalità d’impresa è quella propria del carrot and stick approach, che unisce incentivi e strumenti di deterrenza.

 

Monaco sottolinea come i dati dimostrino un declino dei processi contro le imprese negli ultimi dieci anni. Spesso accade che le imprese, invece di cooperare e favorire l’emersione dei crimini, attuino l’opposta strategia di ritardare la produzione di documenti importanti per le indagini per cercare di mitigare i danni o indagare in prima persona.

 

Questo atteggiamento ha delle conseguenze importanti, quali la prescrizione dei termini, la dissipazione delle prove e l’evanescenza dei ricordi, elementi che, senza dubbio, minano il successo dell’accusa. A fronte di questo, il Deputy Attorney ha sottolineato come nelle linee-guida non rientri solo il fornire al governo tutte le informazioni non privilegiate rilevanti per tutte le persone coinvolte nella condotta illecita, non solo quelle il cui coinvolgimento è stato “sostanziale”, ma anche l’obbligo di produrre tempestivamente al prosecutor tutti i documenti o le prove importanti di cui l’impresa venga a conoscenza.

 

Un secondo elemento evidenziato da Monaco concerne la storia dell’ente e la necessità, seguendo anche le sollecitazioni pervenute da più parti, di contestualizzare i precedenti dell’impresa, valutando l’ambiente regolamentare in cui essa opera, il tempo della precedente azione criminosa e le successive riforme messe in atto dalla società.

 

Nelle linee guida che il DOJ sta rilasciando, è evidenziata la necessità di considerare solo gli illeciti avvenuti negli Stati Uniti, nonché precedenti che coinvolgano lo stesso management aziendale, dando meno peso, invece, agli illeciti datati, intendendosi per tali gli illeciti penali compiuti più di dieci anni prima della condotta su cui si indaga e gli illeciti civili e regolamentari avvenuti più di cinque anni prima.

 

Inoltre, Monaco mette in rilievo l’approccio adottato dal Dipartimento nel senso di evitare plurimi non prosecution agreement e deferred prosecution agreement con la medesima società.

 

Ma v’è più.

 

Obiettivo del lavoro del Dipartimento è quello di incentivare le imprese ad autodenunciarsi, risparmiando in sanzioni e costi ed altresì evitando effetti collaterali come danni reputazionali, sospensioni e interdizioni.

 

Tuttavia, nel corso degli anni, uno dei rilievi mossi dai commentatori al sistema della responsabilità penale degli enti e alle politiche dei PDA riguarda la prevedibilità per l’azienda degli effetti della collaborazione. Monaco ha dichiarato, in questo discorso, che i prosecutors dovranno fornire aspettative chiare su ciò che la volontaria self-disclosure comporterà per l’ente e dovranno identificare in maniera trasparente i vantaggi che l’impresa trarrà. Ha sostenuto, dunque, per la prima volta, che i prosecutors che si occupano di crimini economici che coinvolgono le imprese dovranno avere un programma di azione formale e documentato. Ciò permetterà ai responsabili della compliance di sostenere dinnanzi al Consiglio di Amministrazione che la decisione di autodenunciarsi sia vantaggiosa per la società.  

 

Nell’applicazione dei PDA, sebbene il loro contenuto sia piuttosto vario, un elemento ricorrente è l’imposizione di un monitor esterno – ma pagato dalla stessa società – con il potere di garantire il rispetto dei doveri imposti dall’accordo o cercare prove di ulteriori illeciti[3].

 

In letteratura molte stono state le critiche rivolte ai criteri di scelta dei monitor[4], solitamente ex prosecutors o ex funzionari governativi. Sfortunatamente, però, né i giudici, né i prosecutors sono adatti al compito di “curare” le società: entrambi mancano delle competenze aziendali necessarie. Compliance, governance aziendale e management sono delle scienze sofisticate e non fanno parte della loro formazione[5].

 

Rispondendo a queste critiche, Monaco ha annunciato la pubblicazione di nuove linee-guida circa la necessità dei monitor (dichiarandoli, ad esempio, non indispensabili se l’impresa abbia adottato e attuato un efficace compliance program), su come individuarli e come supervisionare il loro operato, stabilendo per il futuro una procedura di selezione regolata. Sarà poi il Dipartimento a controllare l’operato dei monitor sia con riferimento a quanto effettivamente svolto sia con riferimento ai fondi utilizzati.

 

Da ultimo, Monaco annuncia l’elaborazione entro fine anno di ulteriori linee-guida, elaborate dalla Divisione Criminale, che valorizzano il sistema disciplinare delle aziende, ossia la predisposizione di misure premio o penalità, al fine di sviluppare una maggiore cultura aziendale orientata alla legalità.

 

Vedremo se le linee guida annunciate scioglieranno alcuni nodi nevralgici del sistema, soprattutto con riferimento al ruolo e ai criteri di scelta dei monitor aziendali; sicuramente però altri problemi rimangono irrisolti.

 

Resta aperta, infatti, la grande questione della carenza di qualsivoglia forma di supervisione giurisdizione sugli accordi: del tutto assente nel caso dei NPA, in cui il DOJ ricopre il ruolo di prosecutor, giudice e giuria allo stesso tempo[6], e, comunque, limitata nei DPA. Questi ultimi vengono depositati in tribunale, ma il controllo si limita al rispetto della legge e della Costituzione[7] e non al contenuto dell’accordo[8].

 

Peraltro, con riferimento alla possibilità di riconoscere come effettiva la cooperazione dell’ente, appare ancora più profonda l’asimmetria tra il Prosecutor e l’impresa: i prosecutors, infatti, potrebbero definire importante una prova o un documento non prodotto dalla società e, dunque, bloccare, discrezionalmente, il percorso di collaborazione processuale.

Anche alla luce di questi problemi aperti e considerata la severità dell’approccio dell’amministrazione Biden, sembra ancora una volta confermato che i PDA non costituiscono affatto un free pass per le aziende né sono necessariamente più indulgenti di un patteggiamento o di una condanna[9].

 

Clicca qui per leggere l’intervento integrale di Lisa Monaco, Deputy Attorney General degli Stati Uniti, presso la NYU del settembre 2022.

Clicca qui per il discorso completo di Lisa Monaco, Deputy Attorney General degli Stati Uniti, dell’ottobre 2021.

 

[1] In particolare, il Deputy Attorney General ha affermato che i prosecutors devono considerare tutti i comportamenti scorretti da parte della società scoperti durante qualsiasi precedente azione penale, civile o regolamentare contro di essa, indipendentemente dal fatto che la condotta illecita commessa in passato sia della stessa specie di quella sotto indagine al momento; che tutte le società che desiderano “uscire” dal procedimento penale saranno tenute a fornire al governo ogni informazione non privilegiata rilevante per tutte le persone coinvolte nella condotta illecita, non solo quelle il cui coinvolgimento è stato sostanziale; e ha infine incoraggiato i prosecutors a considerare più spesso l’imposizione di monitor come parte delle risoluzioni penali aziendali.

[2] J. F. Savarese – R. M. Levene – M. Carlin, White-Collar and Regulatory Enforcement: What Mattered in 2021 and What to Expect in 2022, in Harvard Law School Forum on Corporate Governance, 2 febbraio 2022. Sul discorso di Monaco cfr. anche: C. A. Lammers, N. R. Gosselink-Ulep, J. Christensen, Recent DPA Breaches Reflect Increased DOJ Oversigh and Scrutiny, 23 marzo 2022, disponibile sul sito www.lexology.com; D. Bitkowe – A. S. Barkow – E. R. Schrantz – B. D. Fox, T. R. Leinwand – A. D. Whinery, Deputy Attorney General Announces Significant, Changes to DOJ’s Corporate Criminal Enforcement Policies, 11 novembre 2021, disponibile sul sito www.jenner.com

[3] J. Arlen – M. Kahan, Corporate Governance Regulation through Nonprosecution, in University of Chicago Law Review: Volume 84: Issue 1, 15, pp. 334 ss.

[4] Un freno è stato posto dal Monford Memorandum del marzo 2008, intitolato Selection and Use of Monitors in Deferred Prosecutions Agreement and Non-Prosecution Agreements with Corporations, che ha stabilito che tali figure debbano essere scelte attraverso una interlocuzione tra DOJ e società e che la scelta deve cadere su una persona “altamente qualificata”, “in grado di instillare fiducia”, che la nomina “eviti conflitti di interesse effettivi o potenziali”.

[5] M. E. Diamantis, The Corporate Insanity Defense, in The Journal of Criminal Law and Criminology (1973-), Spring 2021, Vol. 111, No. 1 (Spring 2021), p. 68.

[6] M. Koehler, Measuring The Impact of Non-Prosecution and Deferred Prosecution Agreements on Foreign Corrupt Practices Act Enforcement, in U.C. Davis Law Review, Volume 49, 2015, p. 505.

[7] J. Arlen, Prosecuting beyond the rule of law: corporate mandates imposed through deferred prosecution agreements, in Journal of Legal Analysis, Volume 8, Issue 1, Spring 2016, pp. 217 ss.

[8] R. A. Ruggiero, Non prosecution agreements e criminalità d’impresa negli U.S.A.: il paradosso del liberismo economico, in Diritto penale contemporaneo, 2015, p. 13; ma anche Arlen, Prosecuting beyond the rule of law, cit., p. 195.

[9] M. Miller, More Than Just a Potted Plant: A Court’s Authority to Review Deferred Prosecution Agreements Under the Speedy Trial Act and Under Its Inherent Supervisory Power, in Michigan Law Review, October 2016, Volume 115, No. 1, p. 142 riprende 2015 Mid-Year Update on Corporate Non-Prosecution Agreements (NPAs) and Deferred Prosecution Agreements (DPAs), Gibson, Dunn 8t Crutcher LLP 1-2 (July 8, 2015).