Gli effetti extra-penali del patteggiamento dell’ente dopo la riforma Cartabia

di  Mario  Iannuzziello,  Dottore di Ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

 

Il decreto legislativo n. 150 del 2022 – meglio noto come riforma Cartabia – ha modificato la disciplina del patteggiamento per incentivare il ricorso a tale rito alternativo.

 

A tal fine, da un canto, è stato ampliato l’oggetto dell’accordo tra le parti su cui deve intervenire il giudice, aggiungendo alla specie e alla misura della pena sostitutiva o pecuniaria le pene accessorie (art. 444, co. 1 c.p.p.), mentre, dall’altro, è stato previsto che le disposizioni di leggi non penali che equiparano la sentenza patteggiata alla sentenza di condanna non producono effetti quando con la sentenza patteggiata non sono state applicate le pene accessorie (art. 445, co. 2 c.p.p.).

 

Pertanto, sul versante della responsabilità da reato degli enti, che prevede all’art. 63 d.lgs. n. 231/2001 il procedimento speciale dell’applicazione della sanzione su richiesta e agli artt. 34 e 35 l’estensione – in quanto applicabili – sia della disciplina processuale sia delle disposizioni del codice di rito previste per l’imputato persona fisica al processo all’ente e all’imputato persona giuridica, pare che – nel silenzio della riforma del 2022 – anche l’ente che abbia patteggiato una sanzione amministrativa dipendente da reato possa giovarsi dei benefici previsti per la persona fisica, autore del reato presupposto.

 

Infatti, la tecnica di formulazione del comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. pare privare di efficacia quelle norme che rendono ostativa la sentenza concordata in ambiti di materia diversi da quello penale, che potrebbe conseguire anche quando sia stato l’ente a patteggiare la sanzione.

 

 

2. La nuova disciplina del patteggiamento c.d. allargato e dei suoi effetti extra-penali

 

La delega legislativa per l’efficientamento del processo penale – adottata con la legge 27 settembre 2021, n. 134 – ha interessato anche il rito alternativo dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, in particolar modo nella sua ipotesi c.d. allargata, che consente all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi su una pena detentiva che – ridotta fino a un terzo – non supera cinque anni, soli o congiunti alla pena pecuniaria (art. 444, co. 1 c.p.p.).

 

Per quanto qui ci occupa circa la disciplina del patteggiamento, l’art. 1, co. 10, lett. a), n. 1 prevede che “quando la pena detentiva da applicare supera i due anni, l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle pene accessorie e alla loro durata”.

 

Ancora, l’art. 1, co. 10, lett. a), n. 2 delegava il governo a “ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia effetti di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi”.

 

Nell’intento del legislatore delegante, tali principi e criteri direttivi erano volti a strutturare una disciplina del patteggiamento (soprattutto allargato) capace di rendere tale rito più attrattivo per la definizione dei procedimenti penali per cui è applicabile.

 

Infatti, restando immutato il novero dei reati per cui è esperibile, il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 è intervenuto sull’oggetto dell’accordo, ricomprendendovi le pene accessorie e la confisca facoltativa, e sugli effetti della sentenza patteggiata in ambiti diversi dal diritto penale.

 

Sotto il primo profilo, l’art. 444 c.p.p. prevede che “l’imputato e il pubblico ministero possono altresì chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, salvo quanto previsto dal comma 3bis, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato”.

 

Questa modifica, dunque, permette che l’accordo tra le parti processuali possa rivolgersi anche verso le pene accessorie – che, ai sensi dell’art. 20 del codice penale, “conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa” – e di superare anche l’orientamento di legittimità prevalente (fra tutte, Cass. Pen., sent. nn. 20046/2011, 19945/2012, 1934/2015), il quale escludeva che queste pene potessero essere oggetto di accordo.

 

Sul punto, la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione n. 2/2023 del 5 gennaio 2023 apprezza “l’effettiva portata innovativa dell’estensione dell’oggetto dell’accordo delle parti in grado di vincolare la decisione del giudice”.

 

Infatti, la riforma del 2022 ha modificato anche il comma 2 dell’art. 444 c.p.p., conferendo al giudice il potere-dovere di valutare come “congrue le pene indicate”, cioè la pena principale e la pena accessoria, nel caso di patteggiamento c.d. allargato; l’art. 445, co. 1 c.p.p., come noto, già esclude la seconda per il patteggiamento c.d. tradizionale.

 

Nell’economia di tale rito alternativo, infatti, possono essere proprio le pene accessorie a risultare maggiormente afflittive, soprattutto per quei casi che in concreto possono portare all’applicazione di una pena detentiva fino a cinque anni. Basti pensare, fra le altre, all’interdizione o alla sospensione da una professione o da un’arte (rispettivamente, art. 30 e art. 35 c.p.), all’interdizione temporanea o alla sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche (art. 32bis e art. 35bis c.p.) e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32ter c.p.). Queste pene, infatti, impediscono di svolgere la propria attività professionale a fronte del premio per la rinuncia al dibattimento, che riguarda(va) la sola pena principale.

 

Pertanto, come riconosce la stessa Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150/2022, “la ricerca di maggior stimolo a patteggiare risulta […] affidata al criterio in materia di confisca e pene accessorie […] e al […] criterio in materia di riduzione degli effetti extra-penali”.

 

L’altro versante interessato dalla riforma del 2022 – come anticipato – attiene agli effetti del patteggiamento in sede diversa da quella penale: l’art. 445, co. 1bis c.p.p. infatti, prevede adesso che la sentenza emanata dal giudice a seguito dell’accordo fra le parti “non ha efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi […]. Se non sono applicate le pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.

 

La norma, quindi, oltra a circoscrivere l’efficacia della sentenza patteggiata al solo ambito penale, assegna un preciso effetto all’accordo delle parti in merito alle pene accessorie: se queste sono state escluse dall’imputato e dal pubblico ministero e il giudice ha ritenuto congrua la pena propostagli – e quindi congrua la sola pena principale – allora la sentenza che definisce il procedimento non potrà essere equiparata alla sentenza di condanna in settori dell’ordinamento diverso da quello penale.

 

Per addivenire a tale risultato, l’art. 445, co. 1bis, c.p.p. segue una strada di economia legislativa ossia priva di efficacia quelle norme sparse nell’ordinamento che equiparano la sentenza patteggiata a quella di condanna, similmente – non già analogamente – a quanto opera l’art. 51 c.p., che rintraccia in tutto il sistema giuridico quelle norme che nella gerarchia delle fonti occupano un posto di grado pari o superiore a quelle incriminatrici e, quindi, in grado di privare il fatto tipico della propria antigiuridicità.

 

Ancora, l’ultimo periodo della norma in commento circoscrive tale effetto, lasciando la possibilità che alcune disposizioni di legge possano disconoscere il beneficio introdotto alla riforma del 2022 al patteggiamento (Salvo quanto previsto […] da diverse disposizioni di legge), mantenendo quindi ferma l’equiparazione tra sentenza di condanna e sentenza di patteggiamento al di fuori delle ipotesi ivi previste.

 

Ciò che ora è da porre in evidenza è che la novazione degli artt. 444 e 445 c.p.p. può spiegarsi anche nel sistema 231 e, quindi, incentivare anche gli enti a ricorrere al procedimento speciale dell’applicazione della sanzione su richiesta, previsto dall’art. 62 del decreto 231.

 

 

3. Il patteggiamento dell’ente a seguito della riforma del patteggiamento del codice di rito

 

L’art. 62 d.lgs. n. 231/2001 delinea per l’ente il procedimento speciale di applicazione della sanzione su richiesta, che rimodula nel sistema 231 il rito alternativo dell’applicazione della pena su richiesta delle parti.

 

Infatti, al comma 1, quale requisito di ammissibilità a tale procedimento, è previsto – in via alternativa – che il giudizio nei confronti dell’imputato sia definito ovvero definibile nelle forme del patteggiamento e che l’illecito amministrativo contestato preveda unicamente la sanzione pecuniaria. Le regole procedurali, poi, sono mutuate – in quanto applicabili – dal titolo del codice di rito penale che disciplina il patteggiamento. Al comma 2, poi, si detta la regola di riduzione della sanzione pecuniaria e interdittiva con un rinvio fisso all’art. 444, co. 1, c.p.p., mentre al comma 3 si prescrive una limitazione a tale rito, che è rintracciata nella probabilità dell’applicazione in via definitiva di una sanzione interdittiva.

 

Ancora, l’art. 34 e l’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 rendono applicabili – in quanto compatibili – le disposizioni del codice di procedura penale nel processo all’ente e quelle relative all’imputato persona fisica all’imputato persona giuridica.

 

La linea normativa tracciata dagli artt. 34, 35 e 62 del decreto 231, dunque, pare rendere applicabile anche all’ente l’estensione dell’oggetto dell’accordo (ossia pene accessorie e confisca facoltativa) prevista dal comma 1 dell’art. 444 c.p.p., con i relativi poteri del giudice, come implementati al comma 2 della medesima disposizione, ma soprattutto gli effetti extra-penali della sentenza patteggiata previsti dal comma 1bis dell’art. 445 c.p.p., che non ha inflitto pene accessorie.

 

Tuttavia, occorre sottolineare che il decreto 231 non distingue tra sanzioni principali e sanzioni accessorie – come invece fa il codice penale, che suddivide le pene tra principali e accessorie – ma tra pecuniarie e interdittive ed entrambe possono definirsi principali per cui – come affermato dalla Corte di Cassazione – anche le sanzioni interdittive “devono essere oggetto di un espresso accordo processuale tra le parti in ordine al tipo ed alla durata delle stesse e non possono essere applicate dal giudice in violazione dell’accordo medesimo” (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 45472/2016).

 

In linea di continuità nomofilattica con detta pronuncia, la sentenza n. 14696 del 2021 della IV Sezione della Corte di Cassazione, ha precisato che “La natura di sanzioni “principali”, e non “accessorie”, delle sanzioni interdittive è, in particolare, desumibile dai contenuti della norma dell’art. 14 del d.lgs. n. 231 del 2001, […], tenendo conto dell’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso. Appare evidente, pertanto, come nel caso di “patteggiamento” l’applicazione delle sanzioni interdittive possa essere consentita solo all’esito di un espresso accordo processuale intervenuto tra le parti, mediante il quale vengano preventivamente stabiliti il tipo e la durata della sanzione ex art. 9, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001 in concreto da applicarsi”.

 

Con riferimento al patteggiamento dell’ente, dunque, la giurisprudenza ha anticipato – in ragione della specificità del sistema sanzionatorio del decreto 231 appena viste – le innovazioni che la riforma del 2022 ha apportato all’oggetto dell’accordo nell’analogo rito del processo penale.

 

Di conseguenza, assume ancor più rilevanza nel sistema 231 la modifica degli effetti extra-penali dell’applicazione della sanzione su richiesta di parte: l’impresa che patteggia, infatti, potrebbe continuare ad operare sul mercato, essendo private di effetti quelle disposizioni legislative che – ad esempio – rendono ostativa la sanzione concordata alla partecipazione alle gare pubbliche.

 

Nel silenzio della riforma Cartabia con riferimento al processo e al sistema 231, paiono non rinvenirsi ragioni di incompatibilità (art. 34 d.lgs. n. 231/2001) a ché anche la sentenza patteggiata dell’ente non sia equiparata alla sentenza di condanna, secondo quanto previsto dall’art. 445, co. 1bis c.p.p., cioè – più correttamente – che anche le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano le due sentenze non producano effetti extra-penali, neanche per l’ente.

 

La ratio che ha condotto a introdurre il comma 1bis all’art. 445 c.p.p. – già rilevata in precedenza – acquista maggior pregio nell’ambito della responsabilità da reato degli enti, che auspica il simultaneus processus per il reato presupposto e l’illecito amministrativo da questo dipendente.

 

La Relazione ministeriale al d.lgs. n. 231/2001, del resto, afferma che la disciplina dell’art. 63 è volta ad “incentiva[re] la definizione cumulativa (del reato e dell’illecito amministrativo) attraverso la contestuale applicazione concordata della pena e della sanzione amministrativa”.

 

Pertanto, pare non ragionevole che gli effetti extra-penali del patteggiamento del reato presupposto e dell’illecito amministrativo possano essere diversi, potendosi, in tal caso, giungere a conseguenze paradossali. Ad esempio, l’apicale di un’impresa che ha patteggiato la pena per il reato presupposto si gioverebbe della mancanza degli effetti extra-penali ex art. 445, co. 1bis, c.p.p., mentre l’ente che ha patteggiato la sanzione, e nel cui interesse/vantaggio è stato lo stesso apicale a commettere quel reato da cui è derivato l’illecito amministrativo, non potrebbe goderne.

 

Questo paradosso, quindi, pare dimostrare la ragionevolezza – in assenza di una esplicita volontà legislativa in senso contrario – del fatto che le norme non penali che equiparano la sentenza emanata su accordo delle parti alla sentenza di condanna debbano rimanere prive di effetti anche quando quelle norme si riferiscono all’ente, come nel caso degli appalti pubblici, dove può concorre anche la persona giuridica.

 

Un ulteriore argomento a sostegno di tale tesi si può rinvenire dalla tecnica con cui è stato formulato il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p.: infatti, il suo fulcro è nelle disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, alla sentenza di condanna, che non producono effetti, cioè in una legge diversa dal decreto 231, dal codice penale, dalle leggi penali complementari e da quello di rito.

 

Questa norma – come già osservato precedentemente – priva di effetti una disposizione che rende ostativa la sentenza patteggiata e, non riguardando in via diretta il sistema penale e processuale penale, non distingue tra persona fisica e persona giuridica e, quindi, non consente di sceverare – a meno di arbitri interpretativi – tra questi due soggetti con riferimento ai beneficiari degli effetti extra-penali della sentenza patteggiata.

 

 

4. Un’ulteriore ragione per cui anche l’ente può giovarsi della riforma degli effetti extra-penali del patteggiamento

 

Oltre alle ragioni appena esposte per cui anche l’ente può giovarsi degli effetti extra-penali della sentenza patteggiata, ve se rintraccia una ulteriore di carattere normativo, che deriva dalla tecnica di formulazione dell’art. 445, co. 1bis c.p.p.

 

Come visto, questa norma oltre a circoscrivere gli effetti del patteggiamento al solo ambito penale (primo periodo) e a privare di effetti quelle norme extra-penali che equiparano la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti alla sentenza di condanna (secondo periodo), contiene una deroga ad ambedue queste disposizioni. Il terzo periodo, infatti, precisa che “Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.

 

Emerge, quindi, come possano crearsi delle antinomie tra la disposizione in parola e le altre leggi che contengono l’equiparazione tra la sentenza patteggiata e di condanna. Occupando pari grado nel sistema delle fonti, ne deriva che per risolvere una possibile antinomia si debba ricorrere al criterio di specialità, che può condurre alle seguenti soluzioni.

 

A) Il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. come norma speciale che deroga la norma generale

 

Il terzo periodo di tale disposizione, infatti, pare rendere speciale la previsione del secondo periodo, ossia quella che esclude – rinvenendosi i presupposti – l’equiparazione tra sentenza patteggiata e di condanna e, pertanto, quando un’altra legge fa riferimento a tale equiparazione deve risultare priva di effetti. In ambito 231, ad esempio, dove non vi è la distinzione tra pena principale e pena accessoria, l’art. 445, co. 1bis c.p.p. dovrebbe sempre essere norma speciale.

 

B) Il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. come norma generale che non deroga la norma speciale

 

Sempre il terzo periodo di tale disposizione, poi, fa salva la possibilità che il legislatore possa derogare al secondo periodo, tramite l’introduzione di una norma speciale che lo renda norma generale tale da equiparare – in un determinato ambito di materia – la sentenza patteggiata a quella di condanna. Tuttavia, in ambito 231, tale eventualità risulterebbe priva di effetti – ancora a ragione del fatto che lì non vi è la distinzione tra pena principale e pena accessoria – per cui anche in questo caso l’ente potrebbe giovarsi della mancanza degli effetti extra-penale dell’applicazione della sanzione su richiesta.

 

Resta ancora un punto su cui soffermarsi.

 

Sempre nel terzo periodo della norma qui in analisi, sono comprese l’inciso “salvo quanto previsto […] da diverse disposizioni di legge”. Di primo acchito, sembrerebbe che ciò vanifichi la riforma del 2022 circa gli effetti extra-penali del patteggiamento e quindi lo scopo di rendere ancora più premiale tale rito alternativo: nella legislazione amministrativa, ad esempio, la sentenza patteggiata è spesso (se non sempre) equiparata a quella di condanna e da questo derivano una serie di conseguenze pregiudizievoli per il privato (persona fisica o giuridica), quali l’esclusione da una gara di appalto o la revoca di una concessione.

 

Ebbene, in tali casi, per non vanificare l’intentio legis si potrebbe far ricorso anche al criterio cronologico per la soluzione delle antinomie, che precede quello di specialità e consentirebbe di risolvere il contrasto tra il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p., introdotto nel 2022, e le altre disposizioni di legge precedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022.

 

Tale quadro della normativa richiede, in conclusione, una particolare cura per il legislatore futuro, che in un’ottica di sistema e secondo il principio di non contraddizione dell’ordinamento dovrà ben ponderare se concedere effetti extra-penali alla sentenza patteggiata della persona fisica e di quella giuridica.