La Compliance riparativa. Adeguamenti organizzativi post delictum e responsabilità da reato degli enti

di  Anna Pampanin,  Dottoranda  di ricerca in  Diritto penale

 

 

 

In occasione dell’inaugurazione della XI edizione del Master di II livello in Diritto Penale dell’Impresa (A.A. 2022- 2023), si è tenuto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il convegno dal titolo ‘‘La Compliance riparativa. Adeguamenti organizzativi post delictum e responsabilità da reato degli enti’’, organizzato dall’Alta Scuola ‘‘Federico Stella’’ sulla Giustizia Penale (ASGP).

 

L’evento è stato in grado di coniugare due temi di fondamentale importanza e di stringente attualità, continuo oggetto di interesse da parte degli esperti del settore.

Da un lato, la compliance, inevitabilmente legata alla responsabilità da reato delle persone giuridiche; dall’altro, la giustizia riparativa, come noto oggetto della recente riforma attuata con il d.lgs. 150/2022  (c.d. Riforma Cartabia), che ha introdotto una prima disciplina organica della materia (sul punto si veda il post Giustizia riparativa ed enti: il detto e il non detto della riforma Cartabia).

 

L’incontro ha voluto strutturare la discussione attraverso punti di vista differenti, fornendo un contributo e un confronto tra figure professionali di eterogenea declinazione.

 

 

1. Introduzione

 

Il convegno ha preso le mosse da un recente caso milanese, che vale la pena ricostruire brevemente in questa sede.

L’11 novembre 2022 la Procura della Repubblica di Milano ha emesso un decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 58 d.lgs. 231/01 nei confronti di un’importante società di logistica, nei riguardi della quale era stato annotato l’illecito di cui all’art. 25 quinquiesdicies dello stesso Decreto.

 

La società era indagata per l’illecito dipendente dal reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 74/2000) commesso, secondo l’ipotesi accusatoria, allo scopo di simulare contratti di appalto in luogo di quelli di somministrazione di manodopera.

 

Già nel corso delle indagini preliminari la difesa aveva eccepito la possibile violazione del divieto di bis in idem, da valutare anche sulla base di una serie di condotte realizzate post factum:

  • la società aveva già versato integralmente all’Agenzia delle Entrate l’imposta evasa, comprensiva di interessi e sanzioni, dovuta per il corrispondente illecito tributario;
  • la società aveva provveduto alla stabilizzazione di 1200 lavoratori mediante un corposo progetto di insourcing;
  • infine, la società aveva attuato un’importante attività di implementazione del proprio modello organizzativo, con particolare attenzione ai presidi per impedire la commissione di reati fiscali e al monitoraggio di adempimenti IVA da parte dei fornitori.

 

La Procura ha dovuto confrontarsi con tali circostanze fattuali per valutare, in concreto, la compatibilità del procedimento ex d.lgs. 231/01 con la garanzia europea del ne bis in idem, decidendo sulla base di un innovativo iter motivazionale.

 

Sul piano normativo, la Procura ha riconosciuto la presenza di tutti i presupposti strutturali del bis in idem. Nella ricostruzione argomentativa ha attribuito rilevanza primaria alla severità della sanzione tributaria già eseguita, giudicata ex se sufficiente a retribuire il disvalore complessivo del fatto, con l’effetto di rendere superflua la sanzione ex d.lgs. 231 potenzialmente irrogabile all’esito dell’accertamento di responsabilità del reato contestato.

 

Inoltre, e qui risiede l’elemento a nostro avviso di maggiore interesse del provvedimento, la Procura ha valorizzato il ruolo decisivo delle condotte riparatorie poste in essere dalla società successivamente alla commissione del fatto, in funzione, da una parte, compensativa rispetto al danno arrecato anche ai lavoratori e, dall’altra, preventiva rispetto al rischio di realizzazione di ulteriori illeciti analoghi a quelli oggetto di contestazione.

Nel caso di cui si discute, dunque, il contegno post delictum del soggetto giuridico è stato apprezzato quale strumento innovativo per parametrare – o addirittura escludere – la sanzione.

 

 

2. L’innovativo ruolo della giurisprudenza nella definizione dell’intervento punitivo

 

Durante il primo intervento il dott. Paolo Storari, Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano e firmatario del provvedimento in discorso, ha evidenziato la sempre più forte esigenza di confrontarsi e calarsi nella realtà empirica.

Di fronte ad un sistema, quale quello delineato dal d.lgs. 231/2001, che non rinuncia mai alla sanzione, neanche a fronte di un ripristino della legalità da parte del soggetto giuridico, la giurisprudenza avverte la necessità di intraprendere nuove strade, tutelando l’impresa e gli interessi che attorno ad essa gravitano.

L’obiettivo della magistratura, almeno quello emerso nel caso di specie, è l’incentivo ad un percorso virtuoso di riorganizzazione imprenditoriale. Percorso che, qualora venga effettivamente intrapreso, non può tollerare un’applicazione sanzionatoria.

 

 

3. Giustizia negoziata e prospettiva difensiva: la necessità di parametri legali ‘‘fissi’’

 

È poi intervenuto l’Avv. Francesco Isolabella, titolare dello Studio Legale Isolabella, il quale ha descritto la situazione fattuale dalla prospettiva del difensore della società. Nello specifico, sono stati evidenziati i rischi sottesi ad una simile dinamica.

 

Lasciar decidere al singolo Pubblico Ministero cos’è ‘‘giusto’’, in un significato del termine slegato da criteri legali stricto sensu, comporta effetti difficilmente compatibili con un sistema saldamente ancorato al principio di legalità. Il rischio che una decisione di natura ‘‘solitaria’’ (sia chiaro, seppur in rappresentanza della Procura) possa essere negativa ed indirizzata in senso diametralmente opposto è enorme, e le conseguenze potenzialmente disastrose.

 

Un principio applicato correttamente può dunque aprire la strada a contesti pericolosi. I timori verso la giustizia ‘‘negoziata’’ derivano dall’assenza di parametri fissi, strettamente connessi al principio di tassatività.

 

 

4. Un nuovo modello: la compliance responsiva

 

Nel corso del terzo intervento la Professoressa Mazzucato, Associata di Diritto penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha fornito un importante contributo sull’interesse della giustizia riparativa per le dinamiche appartenenti all’ambito del diritto penale economico.

 

Si è evidenziata la necessità, anche e soprattutto in questo settore, di adottare un sistema regolatorio responsivo, capace di adattare le proprie risposte e reazioni al comportamento osservante del destinatario della norma, almeno post factum.

 

La compliance responsiva rappresenta un sistema di regolazione, non solo di giustizia, laddove per giustizia si intenda la risposta ad un comportamento illecito. La responsive regulation è un modello dinamico, flessibile, propositivo e fondato sulla fiducia; ed è proprio quello che ha ispirato le parole della Procura della Repubblica nel caso in oggetto.

 

In attesa di comprendere quali forme assumeranno, in concreto, i rapporti tra la Disciplina organica e il Decreto 231, l’auspicio è che in futuro si riesca a costruire un sistema effettivo, basato sull’interlocuzione e sull’incontro tra vittime e autore dell’illecito, volto in prima stanza alla riduzione del rischio di reiterazione dell’offesa.

 

 

5. La compliance in ottica comparata: problematiche sottese all’importazione del modello estero

 

Il Professor Scoletta, Associato di Diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano, si è soffermato sull’analisi del tema della compliance anche in un’ottica comparatistica.

 

Le logiche profilate ricordano meccanismi appartenenti ad altri ordinamenti, dove la discrezionalità riconosciuta alla Pubblica Accusa in termini di ‘‘agreements’’ è certamente più ampia.

Il riferimento è agli istituti dei Non- Prosecution Agreements (NPAs) e dei Deferred Prosecution Agreements (DPAs) tipici dei sistemi nord-americani. Strumenti che, tuttavia, si inseriscono in un contesto strutturale e culturale profondamente diverso.

 

L’operazione compiuta dalla Procura della Repubblica prende le forme, di fatto, del Non- Prosecution Agreement (NPA), una negoziazione tra Pubblico Ministero ed ente non avallata dall’Autorità Giudiziaria.

 

Altri ordinamenti invece, quali la Francia o la Gran Bretagna, utilizzano strumenti che richiamano, nelle loro caratteristiche, il diverso istituto del Deferred Prosecution Agreement (DPA). In queste esperienze, tuttavia, la negoziazione ” pre – trial “ della compliance è veicolata dalla legge e non, come accaduto nel caso di interesse in questa sede, dal formante giurisprudenziale.

 

Il problema verte quindi sull’importare meccanismi esterni e tentare di plasmarli alla realtà giuridica interna, nonché sul rischio che l’assenza di una verifica ex post comporti una valutazione esclusivamente in termini di idoneità, lasciando vuota di contenuto la verifica di efficace attuazione.

 

6. La nuova compliance riparativa dal punto di vista delle aziende: la sostenibilità dei controlli

 

L’intervento del dott. Raffaello Ascensionato Carnà, Dottore commercialista presso lo Studio Associato Carnà&Partners, ha riportato l’attenzione sui protagonisti di queste vicende: le aziende.

L’azienda, in quanto organismo ‘‘vivente’’, riceve un indirizzo dalle persone che la compongono (c.d. modo di fare impresa), e conseguentemente muta con il loro succedersi.

 

Questa progressiva evoluzione comporta una certa difficoltà nel mantenere la dimensione di idoneità (dei controlli interni) nel tempo, con il rischio di sfociare poi nella dinamica illecita.

Emerge pertanto l’esigenza di confrontarsi con il concetto di sostenibilità dei controlli.

 

Vi è la necessità, ancora una volta, che lo standard di idoneità venga raggiunto attraverso un dialogo tra le varie figure coinvolte (tra cui rientra anche il Pubblico Ministero). La cooperazione, necessariamente basata sulla fiducia, contribuisce in tal modo a costruire un effettivo sistema di funzionamento dei controlli.

 

Gli elementi descritti rappresentano la base per poter realmente aspirare ad un efficace modello di giustizia responsiva.

 

 

7. Il percorso di riparazione dell’ente: il confine tra una compliance ‘‘reattiva’’ e ‘‘riparativa’’

 

In conclusione è intervenuto il Prof. Matteo Caputo, Ordinario di Diritto Penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha fornito numerosi spunti di riflessione in relazione al percorso di adesione alla riparazione da parte dell’ente.

 

Nello specifico, si è sottolineato come risulti evidente che il percorso di ripristino della legalità (cifra indispensabile per poter parlare di percorsi riparativi), qui corra il rischio di essere “spinta(neo)”, più che spontaneo.

 

Sembra potersi parlare di una compliance “reattiva” prima che responsiva e riparativa. Non è chiaro a cosa reagisca l’ente, se al difetto di organizzazione che ha generato l’illecito o al rischio sanzionatorio.

 

Così delineato, tuttavia, il meccanismo pare presupporre che l’illecito dell’ente scaturisca dalla mancata riorganizzazione post delictum, e non già a seguito dell’illecito commesso dalla persona fisica; la sanzione agisce attraverso una minaccia con riserva, e lo schema del d.lgs. 231/01 ne risulta alterato, quasi ad assumere un carattere ingiunzionale.

 

 

8. Conclusioni

 

L’evento ci ha consentito, in qualche misura, di proiettarci nel futuro della compliance.

Si sono evidenziate numerose tematiche meritevoli di discussione e approfondimento, che portano con sé altrettanti interrogativi.

 

L’avvento della giustizia penale negoziata rappresenta un grande passo per il sistema giuridico italiano, che necessita di strumenti che si facciano carico delle istanze sociali, anche in chiave di riduzione della complessità.

 

In tale contesto la novità può essere apprezzata anche da un ulteriore punto di vista, forse il più rilevante. La dialettica costruttiva tra accusa e difesa si dimostra capace di creare un effetto “incentivante” nei confronti delle realtà societarie, soprattutto rispetto ad adeguamento organizzativo ai best standards e alle best practices della compliance preventiva.

 

D’altro canto, le perplessità emergono qualora ci si domandi se la forza della legge penale esca indebolita dalla nuova forma di negoziabilità; o se, in qualche misura, la mitezza della sanzione banalizzi l’autorevolezza del precetto.

 

Inoltre, l’abbandono di una logica strettamente retributiva, necessario per operare nell’interesse dell’impresa, presuppone maggiori spazi di manovra in capo all’Autorità giudiziaria, e di conseguenza l’esistenza di norme ‘‘non trincerate’’, di principi che consentano di muoversi con facilità al loro interno. Il che si traduce, inevitabilmente, in una bassa intensità legale.

 

Il rischio annesso, tuttavia, è che l’avvertita esigenza di anteporre gli interessi economici si traduca in una sorta di “torsione legale”, difficilmente accettabile dall’ordinamento penale e dai principi che lo governano.

 

Quel che è certo è che le riflessioni future dovranno necessariamente sforzarsi di superare pregiudizi ideologici e di porsi costruttivamente rispetto ad un fenomeno che è ormai realtà.