RSPP e delegato alla sicurezza sul lavoro: la Cassazione sulla individuazione dei soggetti apicali

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

Con la sentenza n. 34943 del 21 settembre 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità degli enti, disciplinata dal d.lgs. n. 231/2001, delineando alcuni punti fermi nel difficile percorso di individuazione dei soggetti dotati di posizione apicale e, in particolare, esprimendosi in ordine alla possibilità di includere la figura del delegato alla sicurezza sul lavoro nel novero dei soggetti previsti dall’art. 5 comma 1 lett. a) del decreto.

 

Il racconto dei fatti e l’inquadramento giuridico della vicenda.

Nel quadro di un procedimento per infortunio sul luogo di lavoro, la Corte di appello di Bologna condannava la società per l’illecito di cui all’art. 25 septies co. 3, d. lgs. n. 231/2001, in quanto commesso da un soggetto che rivestiva la funzione di rappresentanza e di amministrazione dell’ente e a vantaggio e nell’interesse del medesimo.

 

La vicenda ha ad oggetto un episodio di lesioni colpose gravi ai danni di una dipendente della società la quale, durante l’utilizzo di un macchinario privo di dispositivi di sicurezza, veniva in contatto con le lame rotanti dell’apparato procurandosi l’amputazione delle falangi e una malattia superiore ai quaranta giorni.

 

I giudici di merito, pertanto, avevano accertato la responsabilità penale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), quale soggetto delegato dal datore di lavoro al settore della sicurezza sul luogo di lavoro per non avere adottato alcuna misura idonea ad eliminare i rischi (ex artt. 71 comma 1 e 18 comma 1 lett. 2), d. lgs. 81/2008).

 

L’accertamento del nesso di causalità.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla società, in primis ritiene prive di fondamento le doglianze della difesa circa la imprevedibilità e la occasionalità della condotta della lavoratrice affermando, al contrario, che le «omesse cautele tecniche ed organizzative» da cui era derivato l’evento lesivo erano attribuibili direttamente ad un difetto organizzativo della società. 

 

Il Supremo Collegio rinvia sul punto a quanto la Corte di appello aveva correttamente accertato in tema di causalità della colpa, in linea con le precedenti pronunce di legittimità (Cass. Pen., sent. n. 34375/2017, Fumarulo; Cass. Pen., sent. n. 9705/2021, Pazzoni Brunello).

 

In particolare, attraverso il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico si acclarava che il rispetto della regola cautelare di verifica delle condizioni di sicurezza e di sorveglianza dell’attività lavorativa avrebbe con “apprezzabile probabilità” scongiurato l’evento lesivo. Pertanto, quest’ultimo era non solo prevedibile da parte del delegato alla sicurezza, ma altresì evitabile attraverso l’attivazione dei poteri a lui spettanti.

 

I criteri di interesse e vantaggio nei reati colposi d’evento.

Quanto alla ricorrenza dei criteri di interesse e vantaggio, ex art. 5 comma 1, d.lgs. n. 231/2001, la sentenza in oggetto accoglie la decisione della Corte di appello, ritenendo che il giudice del merito ne avesse correttamente valutato la sussistenza.

 

Con una motivazione congrua e priva di elementi di illogicità, infatti, i giudici di merito avevano constatato che l’omessa verifica della sicurezza degli strumenti di lavoro e il mancato isolamento dell’area di lavoro pericolosa avevano arrecato un duplice vantaggio alla società – tutt’altro che trascurabile – sia in termini di risparmio di spesa, derivante dalla eliminazione dei costi per la messa in sicurezza del luogo attraverso presidi tecnici e organizzativi, sia in termini di massimizzazione del profitto, per un aumento della produttività lavorativa derivante da un impiego versatile dei dipendenti nello svolgimento di qualsiasi mansione.

 

Al riguardo, ritenendo infondato anche il terzo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione si riporta ai principi di diritto espressi nelle precedenti pronunce di legittimità, secondo cui la responsabilità dell’ente sarebbe configurabile ogniqualvolta «l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme infortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà̀ di ottenere il vantaggio stesso» (Cass. Pen., sent. n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a.; Cass. Pen., sent. n. 2544 del 17/12/2015, Gastoldi).

 

La pronuncia in commento richiama alcuni dei precipitati di maggiore rilievo consolidatisi a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite, sent. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn. Quest’ultima, come noto, aveva ribadito che il criterio dell’interesse esprime «una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo» laddove il criterio del vantaggio ha «una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito». In merito al profilo di compatibilità del decreto 231 alla fattispecie degli eventi lesivi colposi, aveva inoltre confermato quel filone giurisprudenziale secondo cui «il requisito dell’interesse della persona fisica, dell’interesse o del vantaggio per l’ente non all’evento bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica».

 

Disciplina normativa e configurabilità della posizione di “apicale” in capo al RSPP.

Si giunge così alla questione di maggiore interesse, relativa alla individuazione della disciplina della responsabilità da reato degli enti applicabile al caso concreto. Il decreto 231 prevede un diverso meccanismo di imputazione della responsabilità agli enti, a seconda della qualità della persona fisica autrice del reato presupposto, apicale o sottoposta all’altrui direzione (artt. 6 e 7, d. lgs. n. 231/2001). Qualora si sia in presenza di quest’ultima categoria di soggetti l’adozione e l’efficace attuazione di idoneo modello di organizzazione e gestione basta di per sé ad escludere la responsabilità dell’ente (ex art. 7 comma 2, d.lgs. n. 231/2001).

 

Orbene, è proprio in relazione a tale ultimo profilo che la Suprema Corte ha accolto la seconda doglianza della difesa per violazione di legge ex artt. 5 lett. a), 7 comma 2 d.lgs. n. 231/2001 e art. 66 d. lgs. n. 81/2008 con riferimento al riconoscimento dell’imputato quale figura apicale ed ha affermato che «il cumulare i ruoli di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di delegato alla sicurezza non fa per ciò solo assumere il ruolo di chi gestisce o dirige l’ente o una ripartizione rilevante di essa».

 

Come già anticipato, l’autore del reato svolgeva non solo la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), ma era altresì delegato alla gestione della sicurezza, con un’ampia autonomia gestionale e potere di spesa nel limite di euro 25.000.

 

Per ciò che concerne il ruolo di RSPP, la Corte ha ribadito quanto affermato nelle decisioni di merito, circa la sua esclusione dal novero della categoria apicale dell’azienda.

 

Ai sensi dell’art. 2, comma 1 lett. f), d.lgs. n. 81/2008, il responsabile ricopre una funzione di mero “ausilio” del datore di lavoro e di semplice «supporto tecnico in rapporto alla valutazione dei rischi e alla connessa identificazione delle misure prevenzionistiche da adottare» (Cass. Pen., sent. n. 50605 del 5/04/2013, Porcu; Cass. Pen., sent. n. 27420 del 20/05/2008, Verderosa; Cass. Pen., sent. n. 24958 del 26/04/2017, Rescio; Cass. Pen., sent. n. 49761 del 09/12/2019, Raimondo; Cass. Pen., sent. n. 11650 del 29/03/2021).

 

In relazione, invece, ai poteri decisionali derivanti dalla delega prepositurale di cui il soggetto era investito, il giudice di primo grado e la Corte di appello riconoscevano al delegato una posizione di sovraordinazione assimilabile a quella di datore di lavoro, ex art. 2 lett. b), d.lgs. 81/2008 e lo includevano tra le figure apicali previste dalla normativa (amministrazione, rappresentanza e direzione dell’ente o di una unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale).

 

Secondo la Corte, tuttavia, i giudici di merito avevano erroneamente interpretato le disposizioni previste dall’art. 5 comma 1 lett. a) del decreto 231, poiché avevano operato «una sorta di equiparazione tra il “potere del delegato di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza” ed il riconoscimento di una veste apicale del soggetto»; al contrario, il principio di legalità imporrebbe al giudice di attenersi al dato letterale della disposizione, senza incorrere in interpretazioni analogiche ed estensive della disciplina, seppur in presenza di una norma non chiara.

 

A tal fine – conclude la Corte – in materia di responsabilità penale per gli infortuni sul lavoro «non può riconoscersi rilievo decisivo al conferimento mediante atto di delega di specifiche attribuzioni per lo svolgimento di una determinata funzione, anche se nevralgica dell’azienda, come quella prevenzionistica, per fare assurgere il delegato a soggetto in posizione di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità produttiva».

 

La Corte affronta la questione della delega di funzioni operando un rinvio a quanto già espresso dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, secondo cui la delega ha una natura peculiare, poiché «opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo […] e determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità».

 

Sulla base di tali considerazioni, gli obblighi prevenzionistici – chiarisce il Collegio – possono essere conferiti al soggetto con un atto di delega e determinano l’attribuzione di specifiche competenze e responsabilità.

 

Tuttavia, residua un obbligo di vigilanza ‘alta’, ex art. 16 d.lgs. n. 81/2008, in capo al delegante: costui, infatti, continuerà ad essere responsabile in ordine alla valutazione dei rischi e all’adozione del documento di valutazione dei rischi, essendo attività espressamente non delegabili, ex art. 17, d.lgs. n. 81/2008.

 

Nel caso di specie, il Supremo Collegio precisa che la stessa operazione di sottoscrizione del documento di valutazione da parte del RSPP era da ricollegarsi ad un’operazione di mero ausilio del delegato nei confronti dell’attività del datore di lavoro (SS.UU. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, paragrafo 22).

 

In conclusione, la qualificazione della posizione dell’autore del reato andava fatta sulla base di «criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale», ossia sulla base di una serie di fattori, peraltro indicati nello stesso atto di delega, quali la ricorrenza di una procura speciale limitata ad un circoscritto ambito operativo, nonché la sottoposizione delle spese eccedenti il limite ad una valutazione di compatibilità da parte del delegante, che avrebbero portato, senza alcun dubbio, il giudice di merito ad accertare un’assenza di apicalità del soggetto delegato.

 

 

 

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