La Corte di appello di Bologna sulla responsabilità penale del sindaco nell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato. Una ricostruzione garantistica dei presupposti imputativi.

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

1. L’estensione delle garanzie penalistiche nelle ipotesi di responsabilità omissiva dei sindaci per illecito amministrativo punitivo davanti alla Consob

 

Con sentenza del 9 febbraio 2024 la III Sezione civile della Corte di appello di Bologna torna sul tema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento dell’illecito altrui e coglie l’occasione per ripercorrere la struttura del paradigma imputativo della responsabilità omissiva del sindaco nell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, ex art. 187 ter del d.lgs. n. 58/1998 (TUF), partendo dall’accertamento della sussistenza di una posizione di garanzia fino a giungere all’indagine sull’elemento soggettivo del dolo.

 

La sentenza in commento riguarda il tema del concorso omissivo nel reato altrui, al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale, e che trova terreno fertile nel campo del diritto penale dell’economia. In tale ambito, infatti, si sono tradizionalmente registrate pronunce di condanna fondanti l’imputazione su schemi presuntivi e automatismi probatori, dunque piegati alla logica del versari in re illecita piuttosto che ad un accertamento in concreto degli elementi di tipicità e di colpevolezza del singolo individuo.

Se con riferimento alle figure degli amministratori non esecutivi il tema della responsabilità omissiva sembra essere giunta ad una soluzione esegetica consolidata, con riferimento alle figure dei soggetti preposti al controllo nei sistemi interni della società sono ancora numerose le pronunce in cui viene accertata una responsabilità omissiva dei controllori per reati degli esecutivi edificata su macro-posizioni di garanzia generalizzate, piuttosto che su specifici obblighi giuridici di agire.

A fronte di un tale fenomeno di responsabilizzazione diffusa e massiva, la Corte di appello di Bologna in questa sede si è adoperata per ridefinire il perimetro della responsabilità omissiva impropria in modo da garantire il pieno rispetto dei principi di personalità della responsabilità penale e di colpevolezza.

Nel confermare la natura afflittivo-punitiva dell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, ex art. 187 ter TUF e nel tentativo di importare il rigoroso statuto delle garanzie penalistiche della responsabilità omissiva impropria al settore del diritto sanzionatorio amministrativo punitivo, la Corte coglie l’occasione per ritornare sui presupposti imputativi del concorso omissivo dei sindaci, ribadendo la necessità di declinare il rimprovero omissivo sul paradigma “penalistico” di una responsabilità personale e colpevole.

Pertanto, nel commento che segue si vogliono ripercorrere i principali punti della pronuncia, a partire dalla corretta determinazione dei confini della posizione di garanzia e dei relativi poteri/doveri riconosciuti in capo ai membri del collegio sindacale, passando per la verifica del nesso eziologico, fino ad arrivare all’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo nel concorso omissivo improprio.

 

 

 

 

2. Il ricorso avverso la delibera della Consob nei confronti del Presidente del Collegio Sindacale

Con ricorso alla Corte di appello di Bologna, era proposta opposizione avverso la delibera con cui la Consob aveva irrogato un’ingente sanzione amministrativa pecuniaria e una sanzione accessoria interdittiva (di mesi sedici) nei confronti del Presidente del collegio sindacale, per aver concorso nell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, ex art. 187 ter TUF e, in particolare, per aver contribuito alla diffusione di una serie di informazioni false e fuorvianti circa la correttezza delle rilevazioni contabili della società, che avevano creato tra gli investitori l’affidamento sulla capacità della società di stare sul mercato e di produrre profitti. Nel ricorso l’opponente contestava la fondatezza degli addebiti mossi dall’Autorità di vigilanza, asserendo di aver puntualmente adempiuto, unitamente agli altri componenti del collegio sindacale, agli obblighi imposti dalla legge, anche in considerazione dell’insussistenza di specifiche competenze e, comunque, dell’inesigibilità da parte dell’organo di ulteriori adempimenti con riferimento al bilancio.

 

La Corte di appello di Bologna, accogliendo il ricorso, dapprima fa alcune precisazioni circa la natura e la struttura della responsabilità ascrivibile all’opponente per l’illecito amministrativo.

In particolare, come risulta dalle memorie difensive dell’Autorità convenuta, il contributo agevolativo nell’altrui illecito consisteva nell’aver agevolato la strategia manipolativa ideata dagli esponenti apicali e, in particolare, nell’aver predisposto positive relazioni ai bilanci d’esercizio e consolidato, omettendo di verificare l’idoneità degli assetti amministrativi e contabili, nonché di individuare tempestivamente le criticità e gli indici allarmanti emersi in sede di verifica dell’adeguatezza e del funzionamento dell’assetto contabile.

 

Nel caso di specie, i sindaci avrebbero dovuto «sottoporre ad accurato e approfondito esame la metodologia di rilevazione dei ricavi adottata dal management – tanto nel bilancio di esercizio quanto in quello consolidato – allo scopo di stabilire se essa consentisse una corretta rappresentazione in bilancio dei principali fatti di gestione» (p. 8 della sentenza, che rinvia alla delibera della Consob).

In realtà, precisa la Corte, la responsabilità  per l’illecito amministrativo altrui, di cui agli artt. 5 della legge n. 689/81 e 187 ter TUF, si fonda su una condotta che non è commissiva, bensì omissiva dei sindaci, consistente nella omessa «individuazione di una corretta metodologia di contabilizzazione dei ricavi» e «nell’omessa valutazione in ordine alle rilevazioni contabili e ai bilanci, in tal modo agevolando l’errata e fuorviante rappresentazione in bilancio dei ricavi (e dei crediti) da parte degli amministratori della società».

 

Fatte queste preliminari considerazioni, la Corte ritiene di dover inquadrare una responsabilità concorrente nell’illecito di cui all’art. 187 ter TUF alla stregua dei medesimi principi regolatori del concorso di persone nell’illecito di natura penale, al fine di ricostruire i profili imputativi attraverso la lente delle garanzie penalistiche.

 

 

3. I presupposti della responsabilità per omesso impedimento dell’altrui illecito: la posizione di garanzia dei sindaci

Così disposto, la Corte procede ad una ricostruzione degli elementi fondanti la responsabilità omissiva concorsuale dei sindaci negli illeciti degli esecutivi. Dapprima, pone in luce come la sussistenza della posizione di garanzia poggi le sue basi sul novero di doveri e poteri che la legge attribuisce al collegio sindacale, sicché la responsabilità (penale e/o amministrativa) del sindaco per omesso impedimento del reato posto in essere dall’amministratore può configurarsi solo nei limiti dei poteri di attivazione previsti dalla legge.

Quanto in relazione a tali doveri e poteri, gli artt. 2403 co.1 e 2407 c.c. dispongono che al collegio sindacale spetta il compito di verificare la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. Tale condotta consiste in un controllo di legittimità di tipo sintetico, il cui fine è quello di verificare la corretta redazione del bilancio e di valutare l’adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili, e non invece in un controllo di merito sulla contabilità, che dovrebbe essere affidato più propriamente al revisore legale. Al contempo, il Codice civile riconosce ulteriori poteri ai sindaci, tra cui quello di chiedere chiarimenti e informazioni all’organo amministrativo o all’incaricato della revisione legale, di procedere anche individualmente ad atti di ispezione e controllo (art. 2043 bis co.1), di chiedere informazioni sull’andamento delle operazioni sociali agli amministratori (art. 2043 bis co. 2) e, infine, quello di convocare l’assemblea in caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori (art. 2406 co. 1).

 

4. L’indagine sul nesso eziologico e l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo

Dopo aver passato in rassegna il novero dei poteri e doveri attribuiti dalla legge alla figura sindacale, la Corte si sofferma sull’accertamento del nesso eziologico e dell’elemento psicologico.

In particolare, la Corte chiarisce che il novero di tali poteri/doveri non è sufficiente a fondare una responsabilità di tipo omissivo in capo al sindaco, essendo, altresì, necessario «il positivo accertamento di elementi di valutazione, quantomeno di natura indiziaria, sintomatici della loro partecipazione all’attività (illecita) degli amministratori oltre che dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione dell’illecito».

Quanto al primo profilo, anche sul piano della responsabilità para-penale e dell’illecito amministrativo punitivo è necessario riprendere le medesime garanzie tipiche dell’ambito penalistico. Per cui ai fini della responsabilità omissiva non è sufficiente il mero inadempimento dei doveri, ma sarà necessario, altresì, accertare che ad essi si riconnettono effettivi poteri idonei a neutralizzare l’evento lesivo.

In altri termini, sarà opportuno verificare, attraverso un giudizio controfattuale, che l’omissione del sindaco abbia causato l’evento, nella misura in cui il suo comportamento attivo avrebbe evitato la realizzazione dell’illecito. Così, precisa la Corte, «Consob […] avrebbe dovuto svolgere un giudizio controfattuale, verificando se, ove le attività asseritamente omesse fossero state poste in essere, l’illecito de quo, quantomeno in termini di elevata ragionevolezza, se non proprio di certezza assoluta, si sarebbe egualmente verificato, valutando l’incidenza causale della denunciata inerzia dei sindaci sugli illeciti degli amministratori».

 

Quanto poi al tema dell’elemento soggettivo configurabile in capo ai sindaci nell’ipotesi di omesso impedimento dell’evento, la Corte, denunciando un deficit motivazionale della delibera oggetto di opposizione, prende le distanze da quel filone giurisprudenziale antecedente che tendeva a riconoscere una responsabilità a prescindere dal corretto accertamento del dolo, appiattendo attraverso il ricorso a schemi presuntivi il coefficiente soggettivo doloso a quello colposo.

Nel caso di specie, la Consob aveva contestato l’acritico recepimento da parte del Presidente del collegio sindacale delle informazioni trasmesse dagli amministratori e l’omesso svolgimento di controlli specifici volti a indagare sulla commissione dell’illecito amministrativo. In particolare, i fatti esposti in delibera dimostravano che il Presidente del collegio sindacale «pur pienamente consapevole delle irregolarità che si stavano compiendo, aveva adottato iniziative blande e superficiali, agevolando sostanzialmente l’agire illecito degli amministratori». In sostanza, si era riconosciuta una responsabilità di tipo omissivo e doloso in un’ipotesi in cui la condotta soggettiva si sarebbe dovuta qualificare più correttamente come colposa.

Al contrario, la Corte, oltre a denunciare che la Consob aveva mancato di accertare la sussistenza di una «dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori», coglie l’occasione per affrontare il tema.

In sostanza, afferma che un corretto accertamento dell’elemento soggettivo passa attraverso una verifica completa degli elementi dell’intero fatto illecito e che il dolo nel concorso soggettivo e, segnatamente, nell’illecito previsto dall’art. 187 ter TUF «deve sostanziarsi nella consapevolezza che la condotta omissiva determini, contribuisca o, comunque, agevoli l’illecito manipolativo da parte dell’amministratore».

Nel caso concreto, si sarebbe dovuto dimostrare che il garante, attraverso la percezione di segnali perspicui e peculiari si fosse correttamente rappresentato l’illecito in itinere posto in essere dagli amministratori e avesse consapevolmente omesso di agire, partecipando intenzionalmente all’attuazione di esso. Al contrario, rileva la Corte, l’agente non solo aveva svolto la sua attività di indagine e vigilanza, ma le informazioni ricevute dall’organo gestorio e da quello di revisione erano «addirittura corredate da pareri di professionisti esperti nei settori e materie di riferimento, da cui non era dato evincere, prima facie ed ex ante, sul piano procedurale e sostanziale, particolari elementi di sospetto anche con riferimento a quelle specifiche aree operative, contrattuali e contabili, rispetto alle quali la Consob ha mosso, ex post, censure e contestazioni […] astratte e apodittiche, lamentando il mancato svolgimento di non meglio precisate ulteriori più approfondite verifiche».