Delega di funzioni nel settore ambientale. La Cassazione ribadisce la responsabilità del delegante per concorso omissivo nel reato ambientale del delegato

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

Con la sentenza del 31 luglio 2023 n. 33372, sez. IV, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della delega di funzioni nel settore ambientale ribadendo alcuni principi, già ampiamente consolidati nella giurisprudenza precedente, e soffermandosi in particolar modo sulla responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione per reati ambientali commessi da dipendenti della società.

Il settore dei reati in materia ambientale, oggi disciplinato dal d.lgs. n. 152/2006, non prevede un’espressa regolamentazione dell’istituto della delega di funzioni. Ciò aveva condotto la giurisprudenza, sin dalle prime pronunce degli anni Novanta, a colmare tale vuoto normativo, riconoscendo la possibilità al titolare dell’azienda di trasferire gli obblighi previsti dalla legge in materia ambientale ad uno specifico incaricato, con le relative conseguenze in tema di ascrizione della responsabilità penale.

In particolare, in una sentenza dell’8 aprile 1999, n. 4003, sez. III, la Corte, nel dichiarare l’operatività dell’istituto, definiva i profili di validità ed efficacia e subordinava la delega «ad alcune specifiche condizioni, tra le quali la formulazione specifica e puntuale del contenuto della delega e il divieto di indebita ingerenza da parte del delegante. In assenza di questi requisiti la delega si ritiene implicitamente revocata».

La recente sentenza della Corte di Cassazione, in commento, merita una particolare considerazione in quanto oltre a richiamare in punto di diritto gli orientamenti accolti dalla giurisprudenza precedente, secondo cui la delega di funzioni trova pieno riconoscimento anche nelle ipotesi di funzioni in tema ambientale, va a delineare nello specifico gli obblighi di vigilanza riconosciuti in capo ai soggetti deleganti, con notevoli conseguenze sul piano di ripartizione della responsabilità penale.

 

 

 

1. La vicenda processuale

 

La vicenda si colloca nell’ambito di un procedimento penale a carico del Presidente del c.d.a, rappresentante legale della società, e del delegato in materia di “antinquinamento e rifiuti” di una ditta che si occupava della raccolta, trasporto, recupero e commercio di rifiuti speciali non pericolosi e metalli ferrosi, i quali venivano imputati per una serie di reati ambientali, di cui al d.lgs. n. 152/2006.

I soggetti venivano chiamati a rispondere per concorso nel reato di inosservanza delle prescrizioni autorizzative per non aver impedito l’acquisto di rifiuti metallici da privati, in contrasto con le prescrizioni del DM 5/2/1998, per non aver vigilato sul rispetto del limite di 4.000 tonnellate previsto dal tipo di iscrizione (ai sensi degli artt. 110, 40 co.2, c.p., 256, co. 4, d.lgs. n. 152/2006) nonché per non aver esercitato i doveri di controllo sulla gestione dell’attività aziendale inerenti alla carica ricoperta, non impedendo uno stoccaggio dei rifiuti in corso di lavorazione senza suddivisione tra le diverse tipologie.

La vicenda, conclusasi in primo grado con una pronuncia di assoluzione nei confronti dei soggetti, veniva sottoposta a ricorso diretto per Cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12642/2020, annullava la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale per ritenuto difetto di motivazione in ordine all’osservanza dell’obbligo di vigilanza del delegante circa il corretto uso della delega da parte del delegato.

Successivamente, il Tribunale in sede di rinvio, riunendo i procedimenti per connessione, dichiarava colpevoli dei reati loro contestati e li condannava alla pena di euro 900 di ammenda ciascuno per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 40 co. 2 c.p., 256 co. 4 in riferimento all’art. 256 co. 1 lett. a) D.lgs. 152/06, oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte di Cassazione viene chiamata per la seconda volta a pronunciarsi sul ricorso presentato dagli imputati, che lamentavano, tra i vari motivi, la violazione dell’art. 628 c.p.p. in relazione all’art. 627 n. 3 c.p.p. nel primo procedimento penale, da parte del giudice del rinvio che aveva omesso di motivare le ragioni per le quali, pur in presenza di una valida delega, i deleganti avessero omesso di vigilare in ordine al corretto svolgimento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Il Supremo Collegio ritiene il ricorso manifestamente infondato, in quanto la decisione impugnata risulta essere perfettamente coerente con il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente. In particolare, quanto al primo motivo, afferma che non sussiste in capo al giudice del rinvio l’obbligo di motivare circa le ragioni che avevano portato i deleganti ad omettere di vigilare sull’attività del delegante.

 

 

2. La pronuncia della Corte di Cassazione e la sussistenza di un obbligo di vigilanza del delegante

 

Con la sentenza odierna, la Cassazione si sofferma sul tema della delega di funzioni in materia ambientale, confermando i principi di diritto espressi dalla giurisprudenza precedente e circoscrivendo l’operatività del dovere di vigilanza entro confini di ragionevolezza.

Come accennato nella parte introduttiva, per ovviare al problema dell’ascrizione di una responsabilità diretta e automatica del titolare dell’azienda per condotte criminose dei dipendenti, la giurisprudenza è intervenuta sin da subito limitando le ipotesi di responsabilità oggettiva e riconoscendo l’operatività della delega, dapprima nelle sole ipotesi di inquinamento idrico e successivamente nei confronti dell’intera disciplina ambientale.

Sin dalle prime pronunce, i giudici di legittimità specificavano che la delega di funzioni doveva essere accompagnata da una serie di requisiti sottostanti, tra cui la natura scritta, la specificità del contenuto, l’effettivo trasferimento di poteri decisionali in capo al delegato, nonché l’autonomia gestoria di quest’ultimo (Cass. pen., Sez. III, n. 6441/2000; v. anche Cass. pen., Sez. III, n. 422/2000).

D’altro canto, se da un lato, il riconoscimento dell’operatività della delega in materia ambientale era stato ampiamente confermato dalla Cassazione, dall’altro lato, ciò non avveniva quanto al tema di un’eventuale e concorrente responsabilità del delegante nella commissione di un reato del delegato.

 

L’odierna pronuncia, seppur non è particolarmente innovativa nelle sue affermazioni, è rilevante proprio perché torna a ribadire quest’ultimo punto, confermando in sostanza l’esistenza di un obbligo di vigilanza in capo al delegante e specificando, altresì, i criteri imputativi di responsabilità del soggetto per aver omesso il controllo sull’attività del delegato.

La Cassazione, ritenendo il ricorso manifestamente infondato, afferma che «il Tribunale con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto ha affermato che sussiste la responsabilità degli imputati, nonostante il conferimento della delega di funzioni, per avere essi omesso di adempiere l’obbligo di controllo che il delegante è tenuto ad esercitare sul delegato, precisando che tale omissione è emersa dalla circostanza che le accertate inadempienze ed inosservanze (stoccaggio dei rifiuti metallici in difformità da quanto indicato nella planimetria elaborata dalla stessa ditta e costituente parte integrante del provvedimento autorizzativo come da imputazione sub lett. c) del capo 1 del p.p. 1599/17 RGNR e acquisto degli stessi da privati) erano certamente “percepibili” da parte dei deleganti, ovverosia da loro direttamente verificabili e conoscibili, poiché costoro si recavano pressoché giornalmente presso l’impianto per ivi svolgere le loro incombenze di soci».

Parafrasando quanto affermato, la giurisprudenza di legittimità asserisce che in presenza di un atto di delega espresso, inequivoco e certo che investa una persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali di organizzazione, gestione, controllo e spesa, si verifica il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, fermo restando l’obbligo, a carico di quest’ultimo, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.

Nel ribadire la natura e i contenuti dell’obbligo di vigilanza del delegante, la Cassazione riprende quanto affermato in una pronuncia precedente (Cass. pen., sez. III, n. 15941/2020) secondo cui pur non essendo imposto «il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle funzioni trasferite», era richiesto quanto meno «di verificare la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato».

 

 

 

 

3. Il parametro dell’esigibilità della condotta nella pronuncia odierna

Ciò che maggiormente si evidenzia nella pronuncia odierna è la ricostruzione dei profili imputativi del delegante sulla base del parametro di esigibilità del comportamento dovuto.

In particolare, i giudici fondano la responsabilità omissiva dei soggetti non solo sull’accertamento dell’elemento oggettivo di validità della delega e di sussistenza del dovere di vigilanza, ma altresì sull’accertamento della sussistenza di situazioni riconosciute o quantomeno “riconoscibili”, tra cui il superamento dei limiti massimi di rifiuti ritirati da terzi e l’acquisto di rifiuti metallici in violazione delle prescrizioni, rientranti quest’ultima nei limiti di esigibilità della condotta. Solo in questo modo la relativa omissione può integrare una responsabilità per omesso impedimento dell’evento, identificandosi in una culpa in vigilando ex art. 40, comma secondo c.p.

Nel caso in esame, la Suprema Corte giunge a valutare che il rendiconto dei costi e dei risultati rendesse di immediata “percezione” il rispetto o meno dei limiti previsti dalla autorizzazione provinciale, con la conseguenza che la mancata osservanza della suddivisione delle aree di stoccaggio dei vari rifiuti metallici era, anch’essa, circostanza di altrettanto evidente “percezione” da parte dei frequentatori dell’area.

In conclusione, l’istituto della delega non avrebbe tout court efficacia scriminante nei confronti del delegante, ma al contrario continuerebbe a persistere un obbligo di vigilanza in capo al delegante.  In questo senso, gli Ermellini statuiscono che la posizione di garanzia attribuita dalla legge ai soggetti titolari d’impresa nello svolgimento delle attività economiche, nonché la natura contravvenzionale e il conseguente titolo d’imputazione anche solo colposo dei reati ambientali «non consentono di ritenere che l’imprenditore possa chiamarsi fuori dalle responsabilità nei suoi confronti previste limitandosi a delegare ad altri l’adempimento degli specifici obblighi di legge, senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite».

In ogni caso, va ricordato che quanto ai profili di validità ed efficacia dell’istituto la giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere applicabile la disciplina introdotta in materia di sicurezza sul lavoro, di cui all’art. 16 del d.lgs. 81/2008, anche ad altri settori, tra cui quello ambientale. Ai sensi della citata norma, rilevano le disposizioni secondo cui «la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto. Alla delega (…) deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità».

 

 

 

 

 

 

Per consultare il testo della sentenza, si veda qui.