Il nuovo assetto della tutela penale del patrimonio culturale – La responsabilità individuale e dell’ente

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

1. Introduzione.

Martedì 5 febbraio 2024, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è tenuto il convegno su “Il nuovo assetto della tutela penale del patrimonio culturale – La responsabilità individuale e dell’ente” organizzato dalla Cattedra UNESCO su “Business Integrity and Crime Prevention in Art and Antiquities Market” dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, in collaborazione con la Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale-CNPDS e l’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale dell’Università Cattolica.

 

L’evento, che rientra nell’ambito delle attività istituzionali della Cattedra UNESCO, ha indagato il tema della tutela penale del patrimonio culturale a circa due anni dall’entrata in vigore della legge n. 22 del 2022, nella prospettiva di trarre un primo bilancio, in relazione ai profili di responsabilità tanto individuale quanto dell’ente collettivo.

 

 

 

2. Saluti di apertura e relazione introduttiva.

Il convegno è stato presieduto dal Prof. Gabrio Forti, Direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (ASGP). Dopo gli indirizzi di saluto del Presidente della Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale-CNPDS, dott. Piergiuseppe Biandrino, è intervenuta la dott.ssa Francesca Nanni, Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano. La Dott.ssa Nanni ha ricordato, innanzitutto, che il traffico dei beni culturali si pone al terzo posto nel mercato illecito globale ed è successivo solo a quello degli stupefacenti e delle armi. In secondo luogo, ha sottolineato che la riforma della tutela del patrimonio culturale ha avuto un enorme impatto sui profili di responsabilità da reato degli enti. L’introduzione di nuove fattispecie di reato presupposto ha coinvolto non solo gli enti che operano nel mercato delle opere arte, ma anche quelli che si trovano nel mero possesso e nella gestione di beni culturali. Questi ultimi, infatti, dovranno compiere un’attività di individuazione dei beni oggetto di tutela, di organizzazione e indicazione delle funzioni sensibili interne all’azienda, nonché di mappatura dei rischi di commissione di reati.

 

Nel corso dell’intervento iniziale, il Prof. Stefano Manacorda, Ordinario di diritto penale presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e Chair holder della Cattedra UNESCO su Business Integrity and Crime Prevention in Art and Antiquities Market, ha fornito una panoramica generale delle problematiche inerenti alla disciplina italiana in materia di protezione penale dei beni culturali. In particolare, ha evidenziato come la legge n. 22/2022 abbia avuto il pregio di mettere in atto una lotta al contrasto delle forme di illiceità nel mercato dell’arte caratterizzata non solo da una componente punitiva e repressiva, ma, altresì, da istanze preventive e riparatorie.

 

Il Prof. Manacorda ha dapprima rilevato che la nascita della legge n. 22 del 2022 si pone al crocevia tra due input di penalizzazione: uno esogeno, derivante dalle Convenzioni internazionali, e uno endogeno, ad opera del legislatore italiano che avverte la necessità di restituire centralità e sistematicità, dal punto di vista politico criminale, al bene giuridico, rafforzando la tutela del cultural heritage. Tra gli elementi essenziali che caratterizzano la riforma si registra una nuova conformazione dell’oggettività giuridica che prende distanza dagli assetti preesistenti per dare vita ad una visione sistemica.  Tale spinta riformatrice porta con sé un notevole innalzamento del livello gerarchico del bene giuridico tutelato, con la conseguente predisposizione di un complesso di presidi penalistici.

 

In secondo luogo, da un punto di vista criminologico, il Prof. Manacorda ha osservato che il fenomeno della circolazione illecita dei beni artistici e archeologici non vada ricollegato in via esclusiva al fenomeno della criminalità organizzata, che rappresenta solo uno dei paradigmi esplicativi, ma tenda piuttosto ad assumere le fattezze del “grey collar crime”, la cui definizione origina dal fatto che i principali fenomeni illeciti nell’ambito del settore dei beni culturali sono legati a dinamiche legittime del mercato dell’arte, in cui non è sempre facile distinguere le condotte lecite da quelle illecite.

 

Inoltre, in linea di continuità con quanto affermato dalla dott.ssa Nanni sulla responsabilità delle persone giuridiche al centro della tutela del patrimonio culturale, si è segnalata una certa resistenza nei confronti della riforma legislativa da parte di quegli enti che, in possesso di beni culturali, sarebbero potenzialmente destinatari di nuovi obblighi che si aggiungerebbero a quelli già gravanti, tra cui gli obblighi di compliance e di due diligence.

 

 

 

3. Un primo bilancio applicativo della legge n. 22 del 2022.

Nella prima sessione si è tracciato un primo bilancio applicativo della legge n. 22/2022.

 

La Prof.ssa Paola Severino, Emerito di diritto penale e Presidente della LUISS School of Law, ha dapprima compiuto un excursus storico della tutela penale dei beni culturali ante riforma, sottolineando che all’inizio non si prevedeva un ricorso all’armamentario penalistico per la tutela del patrimonio culturale. Solo con la riforma legislativa del 2022, invece, ci si è posti l’obiettivo di dare maggiore importanza al bene culturale, innalzandone il livello di tutela attraverso la predisposizione di strumenti penalistici.

 

Tra le diverse tematiche richiamate, nel contesto della responsabilità delle persone giuridiche si è ricordato che nell’esercizio di alcune attività commerciali il rischio di commissione di reati contro il patrimonio culturale risulta essere significativamente elevato. La riforma, incidendo in quest’ambito, ha rappresentato un passo in avanti verso un rafforzamento dell’azione di prevenzione piuttosto che di repressione degli illeciti degli enti. Difatti, la nuova disciplina normativa ha fatto ricadere sugli enti una serie di compiti ed obblighi preventivi, tra cui l’adozione di sistemi di compliance volti a mappare il rischio della commissione di tali illeciti e volti a vigilare l’eventuale commissione di delitti contro il patrimonio culturale, nonché la predisposizione di regole di soft law e di codici di best pratices.

 

Il dibattito è proseguito con le riflessioni del dott. Giovanni Melillo, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, il quale ha fornito un quadro complessivo delle principali novità della riforma.

 

Partendo dal dato testuale, si è sottolineato che le fattispecie di reati connessi alla tutela dei beni culturali, tra cui i reati di saccheggio, in realtà, derivano da fenomeni non solo di criminalità organizzata ma anche, e soprattutto, di guerre. I massimi contenitori dei fenomeni di saccheggio di beni culturali, si è detto, sono i conflitti civili, nei quali i fenomeni di spoliazione massiva dei beni culturali rappresentano uno degli aspetti più tragici.

 

In ogni caso, i profili di maggiore novità della legge risiedono nell’innovazione del quadro del diritto processuale, a cominciare dagli aspetti inerenti alla responsabilità degli enti, in cui si registrano (per ora) pochi casi di applicazione dello strumento della confisca in materia di delitti contro il patrimonio artistico.

 

Da ultimo, si è rilevato che un elemento fondamentale per garantire l’effettività dei poteri di indagine risiede nel rispetto del carattere di specializzazione delle singole procure. Tuttavia, ad oggi, non si ha un’uniforme livello di conoscenza della materia tra i diversi uffici inquirenti del territorio italiano.. Ciò comporta un significativo gap cognitivo, al quale si è proposto di rimediare mediante la centralizzazione a livello distrettuale dell’attività giudiziaria, con la creazione di pool specializzati nel contrasto alla criminalità contro il patrimonio culturale.

 

La prima parte del convegno si è conclusa con l’intervento del dott. Francesco Gargaro, Generale di Brigata Comandante dei Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale, che ha condiviso alcuni dati delle operazioni compiute all’indomani della legge del 2022. In particolare, dalla ratifica della Convenzione di Nicosia e dall’entrata in vigore della legge si sono registrati all’incirca 1300 reati commessi contro il patrimonio culturale, di cui 109 casi di furto, 145 casi di contraffazione di opere d’arte, 557 casi di ricettazione e 19 casi importazione illecita. I casi di importazione illecita registrati hanno permesso il sequestro di 401 opere d’arte. Inoltre, l’applicazione di misure cautelari quali sequestri preventivi per equivalente e l’applicazione di sanzioni amministrative nei confronti di gallerie d’arte straniere hanno consentito di recuperare all’incirca 134 mila beni culturali. Infine, si è segnalata la recente attività di collaborazione avviata con il reparto nucleo investigativo della città di New York, grazie al quale è stato possibile recuperare nel 2023 all’incirca 1000 opere d’arte di origine italiana.

 

 

 

4. Prevenzione e repressione della circolazione illecita dei beni culturali.

La seconda sessione del convegno è consistita in una tavola rotonda sul tema della prevenzione e della repressione della circolazione illecita dei beni culturali.

 

L’avvocato del foro di Milano Guido Carlo Alleva ha aperto il suo intervento soffermandosi sulla definizione di “bene culturale”, oggetto delle fattispecie illecite. L’Avv. Alleva ha ripercorso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ha visto avvicendarsi due differenti teorie, l’una volta a sostenere una definizione formalistica del bene culturale – secondo cui i beni si classificherebbero in base a quelli dotati di una presunzione di culturalità ex lege, di una presunzione relativa e, infine, beni verso i quali spetta alla P.A. accertare l’elemento di culturalità – l’altra a favore di una concezione sostanzialistica, secondo cui la definizione di bene culturale prescinderebbe dalla sussistenza di una dichiarazione amministrativa, dovendosi estendere la tutela del patrimonio culturale anche ai beni privati di interesse culturale sprovvisti della relativa dichiarazione (Cass. pen., sez. II, n. 41131 del 27 settembre 2023). Il tema della classificazione dei beni in senso formalistico o sostanzialistico, si è sottolineato, ha riflessi sul piano degli obblighi di compliance e di risk assesment che gravano sugli enti. Difatti, si potrebbero registrare problemi nell’opera di individuazione del patrimonio culturale in possesso, a seconda che si voglia accogliere una concezione formalistica o sostanzialistica del bene. Le conseguenze della scelta qualificatoria incideranno rispetto alla costruzione dei modelli organizzativi, in quanto sarà l’ente a classificare i propri beni, attraverso un’autodichiarazione, assumendosi la responsabilità per colpa organizzativa in caso di non corretta inclusione di tutti i beni posseduti.

 

Sulla tematica degli obblighi sussistenti in capo agli enti e sull’obbligo di risk assesment, è intervenuto l’Avv. Giuseppe Catalano, Segretario del CdA e responsabile del Corporate Affairs di Assicurazioni Generali s.p.a., che ha affrontato il tema in un’ottica multidisciplinare.

 

In particolare, Assicurazioni Generali s.p.a. ha individuato, nell’espletamento dei doveri di attuazione e adozione dei modelli organizzativi, i reati di cui al d.lgs. n. 231/2001 e ha constatato che tutti, ad eccezione della fattispecie di devastazione e saccheggio di beni culturali di cui all’art. 518 terdecies c.p., possono potenzialmente essere commessi all’interno della società. Sollevando la medesima criticità interpretativa della nozione di bene culturale rientrante nella disciplina normativa, l’Avv. Catalano ha colto l’occasione per parlare della nuova polizza assicurativa per la tutela dei beni culturali, facendo riferimento ad un problema di tipo applicativo che si sta verificando presso la società in cui opera. In sostanza, si è registrata una grande difficoltà nell’attivare tale polizza dal momento che la maggior parte dei proprietari dei beni che la richiedono non sono in possesso di tutta la documentazione necessaria per classificarli quali beni culturali.

 

Il tema della tutela dei beni culturali è stato affrontato in un’ottica civilistica dalla Prof.ssa Alessandra Donati, Associato di diritto privato presso l’Università di Milano-Bicocca, con un particolare focus alla reazione degli operatori del mercato dell’arte nell’attività di prevenzione del riciclaggio e all’estensione della disciplina antiriciclaggio in Italia.

 

A tal riguardo, ci si è soffermati sul caso del quadro di Tiziano “Cristo risorto appare alla madre” esposto a Palazzo Ducale, oggetto di una truffa milionaria perché nascondeva sotto la prima tela un’opera d’arte originaria appartenente al Rubens del valore triplicato rispetto a quello stimato. Tale scoperta era stata resa possibile grazie ad un’intesa attività di collaborazione tra Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e i Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio culturale. In stretta connessione al tema, si sono esaminate alcune linee guida in materia di due diligence adottate dagli operatori, nonché talune operazioni di controllo della provenienza e dell’autenticità delle opere d’arte che vengono attuate dagli operatori del mercato.

 

Infine, sono intervenuti il Prof. Luca Lupària Donati, Ordinario di diritto processuale penale presso l’Università di Roma Tre, che si è soffermato sui principali profili processual-penalistici che connotano la materia, e la Prof.ssa Arianna Visconti, Associato di diritto penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha evidenziato alcune criticità inerenti alla fattispecie di falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali.

 

Il Prof. Donati, dopo un excursus sui temi affrontati durante il convegno, ha segnalato che l’adesione alla teoria sostanzialistica per la definizione di bene culturale comporterebbe, quale conseguenza, un indebito potere arbitrario da parte dell’autorità giudiziaria, che, in concreto, si troverebbe a definire ciò che fa parte della concezione di “culturale” e ciò che non può rientrarvi. Sul piano processuale, poi, si è registrata un’indiscriminata applicazione della misura del sequestro probatorio, in tutti i casi in cui non era possibile richiedere l’applicazione della confisca. Inoltre, nel contesto della lotta alla criminalità contro il patrimonio culturale, una particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alla figura del terzo soggetto possessore di un bene in buona fede che potrebbe essere coinvolto in un caso di reato contro il patrimonio culturale, pur essendo del tutto estraneo alla fattispecie contestata, e che si potrebbe trovare paradossalmente coinvolto in procedimenti penali per ricettazione e riciclaggio di beni culturali. In materia di beni culturali e responsabilità dell’ente, si è segnalato poi un incremento dei processi in cui i pubblici ministeri adottano la strategia di iscrivere nella fase delle indagini solo l’ente coinvolto, senza identificare la persona fisica, ai sensi dell’art. 8, d.lgs. n. 231/2001.

 

A conclusione della tavola rotonda, la Prof.ssa Visconti si è occupata del tema dell’introduzione della fattispecie di falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali, di cui all’art. 518 octies c.p., e dei correlati casi di contraffazione dei documenti di provenienza. Un esempio a cui si è fatto riferimento è quello del sarcofago d’oro acquistato dal Metropolitan Museum of Art di New York. Nell’opera di accertamento del fatto illecito, rileva la mera falsificazione materiale della documentazione a condizione che sia sorretta dal dolo specifico, ossia dal fine di far apparire lecita la provenienza. Ciò comporta una serie di conseguenze sia sul piano dell’individuazione della finalità che sul piano probatorio di accertamento dell’oggettiva offensività, ossia dell’effettiva idoneità a far apparire lecita la provenienza del bene.