Verso la creazione di un mercato dell’arte trasparente e responsabile

di Eliana Romanelli,   Dottoranda in Diritto penale;  Avvocato

 

In data 23 marzo 2022 si è finalmente concluso il lungo cammino della riforma in materia di reati contro il patrimonio culturale con l’entrata in vigore della Legge 9 marzo 2022, n. 22.

 

Un ulteriore passo avanti per il nostro Paese, che – come sottolineato dal Ministro della Cultura Dario Franceschini – “pone, un’altra volta, l’Italia all’avanguardia, nel panorama internazionale, nella tutela del patrimonio culturale” e, in particolare, nella lotta al traffico illecito di beni culturali.

 

Nel settore della criminalità contro il patrimonio culturale è proprio il traffico illecito di beni mobili e mobilizzati che rappresenta oggi una delle principali problematiche all’attenzione della comunità internazionale, anche in ragione delle diverse vicende giudiziarie che hanno coinvolto, nel tempo, esponenti di spicco del mondo dell’arte.

Grande impatto ha avuto la recente notizia dell’apertura di un procedimento penale nei confronti di due archeologici e di un curatore del Louvre di Abu Dhabi sospettati di essere coinvolti in una operazione internazionale di traffico di opere d’arte per l’acquisto di beni egizi di ritenuta provenienza illecita e di aver omesso la dovuta diligenza nello svolgimento delle transazioni.

 

Ben consapevole della natura intrinsecamente ‘grigia’ del mercato dell’arte e di antiquariato e dell’elevatissima cifra oscura che caratterizza gli illeciti in tale settore, il nostro legislatore, con la riforma in commento, ha perseguito l’obiettivo di rafforzare la tutela penale del patrimonio culturale (dotato di rilievo costituzionale nell’ordinamento italiano), prevedendo specifiche e più stringenti misure sanzionatorie per condotte illecite poste in essere, tipicamente, dagli operatori del settore e incentivando l’implementazione di idonei strumenti preventivi di compliance.

 

La riforma ha previsto una reductio ad unitatem della materia, inserendo nel Codice Penale un nuovo Titolo VIII-bis, rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale” e composto da 17 nuovi articoli (da 518-bis a 518-undevicies).

In particolare, sono state trasferite nel Codice Penale alcune fattispecie incriminatrici, precedentemente contenute nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 20024, n. 42), di cui è stato inasprito il trattamento sanzionatorio e sono state rimodulate alcune disposizioni già presenti nel Codice Penale, qualificando come autonome fattispecie penali, di natura delittuosa, le aggravanti e le contravvenzioni presenti nella normativa codicistica[1]. Sono state, inoltre, introdotte nuove ipotesi di reato[2] e specifiche circostanze aggravanti e attenuanti. In ottica di coordinamento del nuovo quadro sanzionatorio penale con la normativa vigente è stata disposta la conseguente abrogazione di alcune disposizioni del Codice Penale e del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

 

La riforma ha altresì ampliato il catalogo dei delitti in relazione ai quali è consentita la c.d. confisca allargata ai sensi dell’articolo 240-bis c.p. attraverso l’inserimento dei reati di ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio di beni culturali e di impiego di beni culturali provenienti da delitto.

 

In ottica di massimizzare la tutela penale del patrimonio culturale nazionale – in un contesto, come quello del mercato dell’arte, che si presenta come un consolidato sistema economico-finanziario avente dimensione transnazionale – il nuovo articolo 518-undevicies c.p. prevede che le disposizioni penali trovino applicazione anche ai fatti commessi all’estero in danno del patrimonio culturale italiano.

 

In linea con gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali – adottata a Nicosia il 19 maggio 2017 e ratificata dall’Italia con la Legge 21 gennaio 2022, n. 6 – la novella legislativa è, infine, intervenuta sul Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, con previsione della responsabilità amministrativa degli enti quando taluni delitti contro il patrimonio culturale siano commessi, nell’interesse o a vantaggio degli stessi enti, da soggetti ad essi collegati da un rapporto di rappresentanza o di subordinazione.

Più nel dettaglio, la riforma ha esteso il catalogo dei reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti con l’inserimento di due nuovi illeciti amministrativi: art. 25-septiesdecies, rubricato “Delitti contro il patrimonio culturale”, e art. 25-duodevicies, rubricato “Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici”.

 

Proprio con riguardo a tale ultimo profilo, la riforma rappresenta una assoluta novità nel panorama italiano, avendo, per la prima volta, dato rilievo alla dimensione organizzativa e di impresa che le più comuni forme di aggressione del patrimonio culturale possono assumere nel contesto del mercato dell’arte e dell’antiquariato e avendo individuato nella corporate compliance uno strumento di prevenzione, contrasto e mitigazione del rischio di commissione di reati contro i beni culturali, come tale idoneo alla diffusione di un’etica aziendale anche in tale contesto.

 

Tutti gli operatori del settore[3] – e non solo, in quanto alcuni reati presupposto possono essere, in senso più generale, integrati da qualsiasi tipologia di ente[4] – sono oggi chiamati a valutare la propria attività e pesare la propria esposizione a rischi di commissione di reati contro il patrimonio culturale, secondo un approccio risk-based[5], in ottica di individuare possibili opportunità di implementazione di idonei ed efficaci modelli organizzativi e di sistemi e strumenti di controllo interno e gestione dei rischi (si pensi all’importanza, in tale ambito, dell’esercizio di due diligence e della individuazione e riconoscimento di red flags circa autenticità, provenienza e proprietà dei beni, nonché della predisposizione di checklist e codici di condotta da seguire nelle transazioni).

 

La creazione di un mercato dell’arte responsabile[6] sembra, dunque, essere il fine ultimo da perseguire, non solo nella prospettiva del legislatore italiano, ma anche in quella dell’intera comunità internazionale, che spinge verso una sempre maggiore sensibilizzazione (e conseguente autorganizzazione) dei professionisti del settore dell’arte.

 

 

[1] Il riferimento è ai delitti di danneggiamento e di deturpamento e imbrattamento di cose di interesse storico o artistico.

[2] Tra cui il furto e l’appropriazione indebita di beni culturali, l’importazione illecita, la ricettazione, il riciclaggio, l’autoriciclaggio di beni culturali, l’impiego di beni culturali provenienti da delitto, la falsificazione in scrittura privata relativa a tali beni e una nuova contravvenzione inerente al possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o per la rilevazione dei metalli.

[3] Si pensi a esercizi antiquariali, case d’asta, gallerie, fiere, archivi d’artista, musei e istituti della cultura, società di intermediazione e di servizi per l’arte (quali assicurazione, deposito, logistica, consulenza, conservazione, restauro, ecc.).

[4] Come nel caso di società operanti nel settore della logistica e dei trasporti, dell’edilizia o delle infrastrutture energetiche o di enti titolari e gestori di collezioni d’arte e d’antiquariato (si pensi a società o studi associati titolari di corporate art collection).

[5] Il medesimo approccio è richiesto in ambito antiriciclaggio, dove il legislatore italiano – in sede di recepimento della V° Direttiva UE Antiriciclaggio n. 2018/843 (con il Decreto Legislativo 4 ottobre 2019, n. 125) – ha esteso gli adempimenti AML (Anti-Money Laundering) e CFT (Combating the Financing of Terrorism) di cui al Decreto Legislativo 2007, n. 231, a gallerie d’arte, case d’asta, porti franchi e  soggetti che esercitano attività di commercio di cose antiche e di opere d’arte o che agiscono in qualità di intermediari.

[6] È nota l’iniziativa RAM – Responsible Art Market Initiative nata a Ginevra nel 2015 con l’intento di sensibilizzare gli operatori del settore sui rischi legati alla loro attività e che ha portato alla pubblicazione di guidelines dirette a diffondere best practices in materia di trasparenza e due diligence.