Gli indicatori ESG e il Mog: le opportunità per una compliance integrata

di Alice Carlà, Dottoranda di ricerca in  Diritto penale

 

 

 

1. Breve premessa

 

Nell’attuale contesto storico, si assiste ad un processo sempre più intenso di responsabilizzazione delle imprese, tenute non più unicamente a massimizzare i profitti e ridurre i costi, ma anche a influenzare positivamente il contesto sociale in cui operano diventando delle vere e proprie “garanti” di alcuni valori e interessi generali.

 

Considerata la sollecitazione proveniente dal mercato e dall’intera società civile per un rinnovamento dei sistemi economico – produttivi nell’ottica della sostenibilità, oggi le imprese sono tenute ad operare un complessivo ripensamento del loro modello di business verso quello che viene definito come “business sostenibile” (cd. SBM, Sustainable Business Model).

 

Questo mutamento di rotta, implica, sul piano operativo, l’integrazione della sostenibilità nelle strategie e negli obiettivi aziendali. A livello applicativo i principali strumenti per operare in questo senso sono senza dubbio: la governance e la compliance. La governance in quanto orienta l’attività d’impresa verso scelte coerenti con obiettivi di sostenibilità e compatibili con un profilo di rischio individuato tenendo conto anche di tutti i possibili impatti correlati ai fattori ESG (Environmental, Social, Governance); la compliance invece, in quanto quanto definisce i presidi organizzativi funzionali ad una gestione dei rischi integrata con la sostenibilità.

 

Una conferma di come questa richiesta alle imprese da parte della società civile di farsi promotrici di uno sviluppo sostenibile sia sempre più sentita e considerata come impellente è il Programma d’azione ONU, “Trasformare il nostro mondo: l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. Con questo documento gli Stati firmatari hanno individuato 17 obiettivi globali di sviluppo sostenibile (cd. Sustainable Development GoalsSDGs), articolati in 169 sotto-obiettivi (target), che si sono impegnati a perseguire entro il 2030.

 

Anche in ambito europeo ricordiamo che la Commissione Europea nel 2018 ha promosso un Action Plan sulla finanza sostenibile e nel 2019 l’Agenda Europea 2019 – 2024 recante al primo punto il cd. “Green Deal Europeo”.

 

 

2. Gli indicatori ESG e il d. lgs. 231/2001

 

La disciplina di cui al d. lgs. 231/2001 è stata sicuramente la prima normativa che ha impegnato le imprese ad autoregolamentarsi tramite la predisposizione di strumenti che avessero come obiettivo principale quello di contenere il rischio di commissione di taluni reati nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

 

L’adozione del Modello 231 è stato il primo strumento pratico con cui è stato disciplinato l’agire aziendale tramite la definizione di comportamenti da rispettare, coerenti con le best practices, al fine di implementare la cultura della legalità. Tuttavia, oggi, alle imprese è richiesto qualcosa in più oltre alla sola adozione del Modello 231. La cultura della legalità ha bisogno di essere integrata con la cultura della sostenibilità. In questa direzione, il Modello 231 può e deve essere sfruttato e utilizzato quale valido strumento per il raggiungimento anche di ulteriori obiettivi.

 

L’ampliamento nel tempo del catalogo dei reati presupposto ha attratto nella competenza del decreto 231 tematiche afferenti alla tutela dell’ambiente (i beni ambientali di cui all’art. 25-undecies) e ai diritti sociali (i diritti dei lavoratori richiamati dall’art. 25-septies), introducendo quindi i temi della sostenibilità nei sistemi di gestione aziendale.

 

È realistico quindi puntare alla creazione di una gestione sostenibile tramite la valorizzazione del Modello 231: le misure di prevenzione del rischio-reato pensate al suo interno possono essere utilizzate e valorizzate come strumento di gestione dei rischi di sostenibilità tramite l’implementazione di un modello integrato di compliance.

 

Questo in quanto il perseguimento delle politiche ESG e il loro monitoraggio, coprendo svariati ambiti dell’organizzazione aziendale, non può prescindere dal rispetto di una serie di normative specifiche e di prassi già operative in alcuni comparti dell’impresa. La compliance ESG, quindi, presuppone l’implementazione di altre singole forme di compliance di settore, come per esempio quella 231, antiriciclaggio, fiscale, antitrust e anticorruzione.

 

È evidente, pertanto, che gli obiettivi ESG e il monitoraggio dei relativi rischi in parte si aggiungono e in parte si affiancano integrandoli con altri sistemi autonomi di gestione del rischio già presenti nella realtà aziendale. L’obiettivo attuale, quindi, dovrebbe essere quello di integrare tutti quei presidi spesso già adottati dalle aziende con gli obiettivi ESG nella costruzione di un’organizzazione aziendale preordinata al raggiungimento dei suoi scopi e della prevenzione dei rischi.

 

In quest’ottica il Modello 231 può costituire quindi una delle varie componenti della gestione integrata dei rischi, anche in ottica ESG per la sua idoneità a costituire un aspetto degli assetti organizzativi interni, oppure può essere esso stesso lo strumento tramite cui realizzarla. Si potrebbe, in altre parole, immaginare un Modello 231 che, anche se orientato in primo luogo alla prevenzione dell’illecito penale, possa anche intercettare comportamenti che seppur non rilevanti penalmente siano comunque percepiti dall’impresa come scorretti e non sostenibili.

 

 

3. Modello 231 e SDGs: quali possibili sinergie?

 

Dopo aver brevemente inquadrato la funzione svolta dal Modello 231 e dagli indicatori ESG nell’attuale contesto socio-economico, possia immediatamente evidenziare una serie di correlazioni esistenti tra i due strumenti.

 

Il primo generale ma ugualmente importante punto di contatto tra i due strumenti è la presenza del tema della responsabilità sociale d’impresa (cd. Corporate Social Responsibility) ancorato al concetto di sostenibilità presente negli obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 così come presente alla base della costruzione del Modello 231; anche qui infatti vi è la realizzazione di un Codice Etico, vale a dire, di un documento che definisce nello specifico i valori e i comportamenti che devono essere rispettati da tutti coloro che operano attivamente all’interno dell’organizzazione.

 

Entrando più nello specifico poi, il Modello 231 è uno strumento utile per gestire i rischi-reato in materia di corruzione: l’azienda che si dota di un Modello 231, predispone una serie di procedure volte a diminuire il rischio che si possa verificare un fenomeno corruttivo ai danni dell’impresa. Allo stesso modo l’obiettivo SDG n. 16, “promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile”, declinato poi in diversi sotto-obiettivi (target), ne cita uno attinente proprio al fenomeno corruttivo; si afferma infatti che gli Stati che aderiscono agli obiettivi 2030 dovrebbero “ridurre sensibilmente la corruzione e gli abusi di potere in tutte le loro forme”.

 

Un’ulteriore tematica che pone in correlazione obiettivi SDGs e Modello 231 è quella ambientale. I rischi-reato connessi all’inquinamento ambientale nelle sue varie forme, sono disciplinati dal d.lgs. n. 231/ 2001 e il Modello 231 deve prevedere una serie di procedure messe in campo dalle organizzazioni per eliminarli o quantomeno ridurli nelle loro probabilità di accadimento. Analogamente, gli obiettivi SDGs toccano il tema ambientale sotto differenti prospettive. L’obiettivo SDG n. 9 “costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile” in uno dei suoi sotto-obiettivi (target) esplicita che tutti gli Stati dovrebbero “migliorare entro il 2030 le infrastrutture e riconfigurare in modo sostenibile le industrie, aumentando l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e adottando tecnologie e processi industriali più puliti e sani per l’ambiente (…)”. La capacità dell’impresa di riuscire ad inquinare di meno, a cui è associato un rischio-reato attinente al d. lgs. n. 231/2001, è evidentemente connessa con l’obiettivo di rendere i processi industriali più puliti e più sani per l’ambiente.

 

Muovendosi seguendo questa linea d’azione le prescrizioni dettate dal Modello 231 possono contribuire a migliorare l’impatto ambientale delle organizzazioni sulla società e a facilitare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

 

 

4. Conclusioni

 

Appare evidente come la molteplicità ma soprattutto la frammentarietà delle discipline astrattamente connesse all’attività aziendale e il loro conseguente rispetto, da un lato è sinonimo di legalità dell’impresa, ma dall’altro potrebbe generare un blackout gestionale dovuto al proliferare di regole, procedure, prassi, protocolli e controlli interni fonte, delle volte, di inutili duplicazioni.

 

La possibile soluzione a tale problema, potrebbe essere rappresentata dall’operare con un approccio metodologico multidisciplinare volto a sintetizzare i vari comparti della compliance in un sistema di gestione integrato dei rischi.

 

Il presupposto imprescindibile per rendere effettiva tale gestione integrata è la creazione di meccanismi di coordinamento e di collaborazione tra i responsabili interessati all’individuazione delle procedure, dei presidi di controllo e dei flussi informativi comuni. In tale ottica, infatti, le procedure comuni dovrebbero garantire una maggiore snellezza ed evitare che si generino sovrapposizioni di ruoli o duplicazioni di verifiche e controlli.

 

In questo contesto diventa quindi essenziale e più efficiente per l’impresa sintetizzare tutti i momenti del controllo interno in un sistema di gestione integrata per perseguire costantemente la diffusione a tutti i livelli aziendali di una cultura della legalità e della responsabilità sociale. La vocazione primaria del Modello 231 quale strumento di auto-responsabilizzazione delle imprese rispetto a tali temi (al di là del rilievo penalistico degli stessi) fa di questo uno strumento privilegiato da sfruttare per un approccio integrato alla gestione dei rischi, anche in ottica ESG. Si potrebbe infatti pensare di mappare e gestire i rischi connessi agli indicatori ESG a partire già dalle fasi preliminari di risk assessment e di risk management che portano poi alla costruzione del Modello 231, con l’obiettivo di positivizzare già in questo documento delle azioni che possano quanto meno ridurre questi rischi.

 

La dottrina, sul tema, già da tempo ha sviluppato un sistema di gestione integrata del rischio denominato Entreprise Risk Management (ERM) inteso come l’insieme di tutti i processi attraverso i quali un’azienda identifica e monitora i rischi e tra questi ultimi possono senza dubbio rientrarvi anche i rischi ESG.

 

Così la gestione integrata del rischio aziendale sta diventando un tema di fondamentale importanza da valorizzare non solo in un’ottica finanziaria ma anche e soprattutto in un’ottica economico-organizzativa e anche sociale. In questo senso, sarà però necessario un rafforzamento ed una maggiore implementazione degli assetti organizzativi, a partire dai Modelli 231, accanto ad un cambiamento culturale nel management societario.