La ‘colpa di organizzazione’ dell’ente: nuova pronuncia della Corte di Cassazione.

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

La responsabilità da reato della società va accertata in via autonoma e non va confusa con la colpevolezza dell’amministratore, responsabile del reato presupposto.

 

Questo è quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza del 11 gennaio 2023, sez. IV, n. 570/2023 con la quale torna ad occuparsi di responsabilità da reato degli enti e illecito colposo commesso dai soggetti apicali in violazione di norme antinfortunistiche.

 

La decisione di legittimità, oltre a trattare in via principale la tematica della colpa di organizzazione dell’ente, permette, altresì, di riflettere sulla peculiare questione del riparto di responsabilità tra le imprese coinvolte nel contratto di appalto.

 

 

1. Il fatto

 

La vicenda trae origine da un episodio di grave infortunio avvenuto durante i lavori di realizzazione della tangenziale est esterna di Milano, dal quale derivava la morte di un dipendente della società subappaltatrice della ricorrente.

 

L’incidente era avvenuto nei pressi di un ponteggio collocato in galleria, privo delle barriere anticaduta e l’operaio, privo di formazione specifica, veniva colpito da un asse di contenimento della gettata di cemento e perdeva l’equilibrio cadendo da un’altezza di circa 10 metri e provocandosi lesioni gravissime e, dopo poco, la morte.

 

L’amministratore unico della società subappaltatrice, unitamente all’amministratore della società appaltatrice, veniva chiamato a rispondere del reato di cui agli artt. 41, 589 comma 1 e 2 c.p., per aver posto in essere una condotta in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, nello specifico, per aver omesso di dotare il ponteggio delle sponde laterali di sicurezza.

 

Nella vicenda de qua era chiamata a rispondere insieme alla subappaltatrice anche la società appaltatrice per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, d.lgs. n. 231/2001, per aver tratto vantaggio dalla condotta criminosa del suo amministratore sotto forma di risparmio di spesa derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti della società subappaltatrice, ma in realtà sottoposti al proprio potere direttivo, oltre che aver tratto beneficio dalla mancata predisposizione delle misure di sicurezza e dei mezzi di protezione individuale dei lavoratori.

 

 

2. I motivi di appello presentati dal difensore della società appaltatrice

 

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti della persona fisica, per essere il reato ascrittogli estinto per morte del reo, mentre confermava l’impugnata sentenza con riguardo alla ritenuta responsabilità della società condannata alla sanzione amministrativa di euro 30.000,00.

 

Quest’ultima proponeva ricorso avverso la sentenza di appello rilevando dapprima un difetto di accertamento – in via autonoma – degli elementi costitutivi della sua responsabilità nella misura in cui i giudici avevano erroneamente formulato una contestazione identica per entrambe le società coinvolte nell’incidente.

 

In realtà, queste ultime divergevano tra loro quanto a dimensioni e struttura organizzativa: l’impresa appaltatrice, nonché ricorrente, era dotata di un modello organizzativo idoneo e periodicamente aggiornato ed era sottoposta, altresì, al controllo da parte di un organismo di vigilanza; diversamente la società subappaltatrice era di dimensioni ridotte e priva di un modello aziendale.

 

Nello specifico, tra i motivi di ricorso avverso la sentenza di appello si solleva una violazione di legge, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si accertava un vantaggio in capo alla ricorrente sotto forma di risparmio di spesa dovuto ad una sistematica violazione delle norme previdenziali.

 

Invero, l’infortunio si configurava come un episodio isolato scaturito da una negligenza occasionale, dal quale di certo non si poteva dedurre una stabile politica aziendale volta al risparmio di spesa sulla sicurezza dei lavoratori.

 

In effetti, dai controlli dell’organismo di vigilanza risultava che la società aveva correttamente accertato l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice sulla base di una documentazione prodotta dalla subappaltatrice rivelatasi solo successivamente falsa.

 

La società ricorrente segnalava un’ulteriore violazione di legge «per erronea disapplicazione degli artt. 6 e 7 comma 2, in relazione alla valutazione di idoneità in concreto ed ex ante del modello organizzativo adottato dalla società». Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva operato «un’automatica ed indebita logica induttiva che vorrebbe ricavare dalla mera verificazione dell’evento ex post la prova della inidoneità del modello organizzativo ex ante».

 

Da ultimo, vi era violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione ed erronea disapplicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 231/2001 nella parte in cui veniva determinata la pena base della sanzione pecuniaria.

 

 

3. La fondatezza del ricorso e l’accertamento della ‘colpa di organizzazione’ in via autonoma.

 

La Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso ribadisce la necessità di non confondere e sovrapporre i profili di responsabilità da reato dell’ente dai profili colposi ascrivibili all’amministratore responsabile del reato presupposto.

 

Nelle sue considerazioni la Cassazione ripercorre, seppur brevemente, i presupposti di imputazione di una responsabilità a carico del soggetto collettivo, ex artt. 5, 6, 7, d.lgs. n. 231/2001, consistenti da un lato, nell’accertamento di un interesse o vantaggio a favore dell’ente stesso derivante dal reato presupposto e, dall’altro lato, nella sussistenza di una ‘colpa di organizzazione’, intesa quale mancata o inadeguata predisposizione di cautele idonee a prevenire i reati previsti dal d.lgs. n. 231/2001, tale da giustificare il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo.

 

Infatti, solo il riscontro di un difetto organizzativo consente una piena e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (il rinvio è alle precedenti pronunce della Corte di Cassazione n. 27735/2010 e n. 32899/2021).

 

Nel caso di specie, la sentenza di appello non aveva motivato sulla concreta configurabilità di una ‘colpa di organizzazione’ dell’ente né aveva stabilito se tale elemento avesse avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto, ma si era limitata a fondare la responsabilità amministrativa della società sulla «genericità ed inadeguatezza del modello organizzativo senza tuttavia fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una ‘colpa di organizzazione’ dell’ente».

 

In materia di responsabilità d’impresa – sottolinea la Corte – vige il principio di diritto secondo cui «la mancanza di idoneo modello di organizzazione e gestione non implica di per sé un automatico addebito di responsabilità in capo all’ente», ma tuttalpiù integra una «circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione».

 

Dunque, l’applicazione della sanzione all’azienda non è automatica, ma nasce dal fatto che l’impresa non ha prestato la dovuta attenzione e diligenza nell’applicazione di disposizioni obbligatorie.

 

Al contrario, nel caso di specie i giudici di merito si erano limitati ad addebitare alla società le medesime condotte omissive fondanti la responsabilità dell’amministratore: cioè il non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel modello, e il non avere predisposto a norma il ponteggio, nonostante le prescrizioni previste nel documento tecnico (Pi.M.U.S.).

 

I giudici di merito, invece, avrebbero dovuto approfondire anche e soprattutto l’aspetto relativo al concreto assetto organizzativo adottato dall’impresa in tema di prevenzione dei reati in maniera tale da evidenziare la sussistenza di eventuali deficit di cautela causalmente collegati con il reato presupposto.

 

Nel pronunciarsi in questo modo la Cassazione opera un rinvio alla sentenza Thyssenkrupp secondo cui «l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica, quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo» (sul punto, Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343, Thyssenkrupp).

 

In conclusione, la motivazione della sentenza impugnata risulta carente sia in punto di specificazione del mero vantaggio scaturito dall’illecito presupposto, sia in punto di accertamento in via autonoma di una colpa organizzativa in capo all’ente.

 

Pertanto, la Corte di Cassazione annulla la sentenza e rinvia per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

 

 

 

 

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