La cd. “Cooperation Revolution” e la redazione dei piani di protezione dirigenziali

di  Claudia Cantisani,  Assegnista di ricerca in Diritto penale

 

 

1. Introduzione

 

Il 24 maggio 2022 viene pubblicata sulla pagina web del United States Attorney’s Office – Southern District of New York la notizia che le società Glencore International A.G. (Glencore) e Glencore Ltd. hanno dichiarato innanzi al Southern District of New York e al District of Connecticut la loro responsabilità per aver rispettivamente violato il Foreign Corrupt Practices Act (FCPA) e partecipato ad un’associazione per delinquere finalizzata alla manipolazione dei prezzi delle materie prime. Le due società, entrambe appartenenti ad una multinazionale esercente attività di estrazione delle materie prime con sede in Svizzera, hanno accettato di collaborare con le autorità penali e civili di Stati Uniti, Regno Unito e Brasile, e di pagare oltre 1,1 miliardi di dollari al fine di concludere le indagini sui reati loro addebitati. Il caso è uno tra i molti che nella scorsa primavera hanno visto le imprese impegnarsi in attività di cooperazione con le autorità governative nelle indagini su illeciti societari.

 

In un discorso del 3 marzo 2022, tenuto in occasione del American Bar Association’s 37th National Institute on White Collar Crime,  il Procuratore Generale Merrick Garland ha chiarito che la repressione del corporate crime rappresenta una priorità nell’agenda politica degli Stati Uniti e, con essa, il sostegno alla cooperazione delle imprese con le autorità investigative giudiziarie: per potersi avvalere dei vantaggi e del credito derivanti dalla collaborazione con le pubbliche autorità, le società devono impegnarsi a  fornire al Dipartimento di Giustizia tutte le informazioni utili su individui responsabili di condotte illecite.

 

Il tema della cooperazione delle imprese nelle attività investigative civili e penali, germinato vent’anni fa dalle United States Sentencing Commission’s Organizational Sentencing Guidelines del 1991, torna all’attenzione del dibattito pubblico statunitense in un momento storico e politico in cui l’esigenza di punire gli individui responsabili del corporate crime è fortemente avvertita.

 

Vediamo in cosa consiste la cd. Cooperation Revolution – espressione la cui paternità è attribuita a James D. Wing & Andrew L. Oringer, Discipline Involving Multiple Disciplines—Protecting Innocent Executives in the Age of Cooperation, 70 BUS. LAW. 1123, 1124 (2015) – e quali risvolti comporta nella definizione delle responsabilità dell’ente e dei singoli “directors” ed “executives”, nonché del legale d’impresa a cui venga demandata la redazione dei piani di protezione dei soggetti con funzioni direttive, cd. executive protection plans.

 

 

2. La “Cooperation Revolution”

 

L’espressione allude ad una prassi fondata sulla collaborazione delle imprese con l’autorità giudiziaria e le autorità governative di enforcement, tra cui il Department of Justice – DOJ, nello svolgimento delle indagini a carico dell’ente.

 

Il tema, oggetto di ampio dibattito in dottrina e di orientamenti di politica criminale oscillanti (sul punto rimandiamo a questo precedente contributo), interessa in questa sede nei limiti in cui permette di evidenziare le ricadute della cooperazione della corporation sulla definizione della responsabilità dei vertici, nonché sulle attività di valutazione e consulenza del legale esterno nominato dall’impresa per la redazione dei piani di protezione dei dirigenti.

 

È noto come nell’ambito delle attività di collaborazione tra imprese e autorità un tema centrale concerna l’individuazione dei singoli responsabili all’interno dell’organigramma aziendale, con rischi di scarico della responsabilità verso il basso e/o individuazione di capri espiatori. Uno degli obblighi principali a cui si sottomettono le corporation nell’ambito degli accordi con le agenzie di enforcement, infatti, risiede nella realizzazione di indagini interne finalizzate non solo a fare chiarezza sulle ragioni retrostanti al compimento dell’illecito nell’ottica di una riorganizzazione in senso compliant ma anche a individuare per l’individuazione dei responsabili delle cd. misconducts.

 

Con riferimento a quest’ultimo punto, in particolare, l’impresa può accettare di condividere con gli organi investigativi i risultati delle investigazioni – generalmente condotte da un consulente esterno – dirette ad individuare gli autori degli illeciti.

 

Tale disclosure può quindi implicare uno spostamento della responsabilità dall’ente ai singoli dirigenti.

 

La prassi della cooperation pone, cioè, gli apicali in una posizione estremamente delicata, per la gestione della quale l’ente incarica professionisti (spesso) ad esso esterni per la redazione di uno strumentario di rimedi ai possibili rischi derivanti da potenziali future incriminazioni.

 

In cosa consistono questi “piani di protezione”?

 

 

3. Gli “executive protection plans”

 

I piani di protezione dei dirigenti sono documenti che contengono un programma di rimedi da predisporre in via anticipata (in a “clear day”) per tutelare i direttori dell’impresa da potenziali futuri addebiti civili e penali (“stormy days”).

 

Essi coprono quattro ambiti giuridicamente distinti: (1) exculpation: l’esonero di responsabilità dei direttori aziendali per i danni derivanti dalla violazione del dovere fiduciario di diligenza; (2) advancement: il finanziamento anticipato dei costi di difesa di un dirigente durante le indagini; (3) indemnification: cioè il rimborso di tutti i costi di difesa non anticipati e l’abolizione di qualsiasi obbligo di rimborsare i costi di difesa precedentemente anticipati dopo la conclusione del procedimento; e (4) directors and officers liability insurance: l’assicurazione per la responsabilità civile per direttori e funzionari ad integrazione degli altri strumenti di protezione, ove questi siano redatti in modo incompleto, o nel caso in cui l’impresa non sia in grado o non voglia provvedervi a causa delle pressioni esercitate dalle autorità investigative.

 

Proprio perché redatti allo scopo di prevenire i rischi pendenti sui dirigenti d’impresa, i piani di protezione devono contenere già una mappatura dei possibili conflitti tra l’impresa e i suoi stessi apicali, entrambi interessati ad evitare condanne e forme di stigmatizzazione sociale.

 

Tali conflitti gravano interamente sul legale incaricato di redigere il piano: egli agisce come professionista dell’impresa, allo scopo, tuttavia, di proteggere i dirigenti che possono avere necessità di un legal advice individuale.

 

 

4. La situazione di conflitto e le ethical issues

 

Tra i problemi più frequenti vi è, anzitutto, chiarire chi sia il “cliente” del professionista (con ricadute sul cd. attorney-client privilege); a ciò si aggiungono la difficoltà di gestire i contrapposti interessi dell’impresa e dei dirigenti e la complessità della materia.

 

I professionisti incaricati di redigere i piani di protezione dei dirigenti possono incorrere in censure speculari: possono essere criticati per l’eccessiva benevolenza nei confronti dei dirigenti che vengano sospettati di aver commesso illeciti (ipotesi frequente nei cambi di amministrazione); oppure diventare bersaglio di addebiti da parte dei dirigenti stessi per non aver fornito adeguata tutela.

 

La valutazione di cui il professionista viene investito viene descritta al punto 2.3 a) ABA Model (Model Rules of Professional Conduct), a tenore del quale: “ (a) A lawyer may provide an evaluation of a matter affecting a client for the use of someone other than the client if the lawyer reasonably believes that making the evaluation is compatible with other aspects of the lawyer’s relationship with the client”.

 

L’applicazione di questa disposizione richiederebbe, a rigore, che il legale accertasse che il piano di protezione commissionato dal corporate board sia effettivamente allineato con gli interessi dell’impresa, poiché il professionista agisce su suo mandato.

 

Nonostante ciò, rinnovare o redigere ex novo gli executive protection plans a tutela dei dirigenti potrebbe far pensare che il professionista sia formalmente obbligato, come legale, anche nei loro confronti.

 

Quali rimedi a fronte di queste tipiche situazioni di conflitto?

 

 

5. La ABA’s Checklist 2021

 

In letteratura (ex multis, Sarah Helene Duggin, The “Corporation Revolution” and the Professional Ethics of Giving Advice on Executive Protection Issues, 77 BUS. LAW. 1079 (2022) (with Shannon “A.J.” Singleton & James D. Wing) e Sarah H. Duggin – Stephen Braga – Adam P. Schwartz – James Wing, Ethical Rules and Professional Liability Risks of Business Lawyers Advising on Executive Protection Programs, 2019) si è fatto presente che la minimizzazione dei rischi potrebbe essere conseguita attraverso due principali strumenti: a) il professionista dovrebbe sempre ricordare – anche nel piano che redige – che rappresenta l’impresa e non il singolo dirigente, compiendo sforzi ragionevoli per evitare equivoci (“reasonable efforts to correct misunderstandings”); b) le imprese dovrebbero provvedere ad una forma di rappresentanza diversa per i destinatari dei piani di protezione dirigenziali.

 

La American Bar Association ha formalizzato una sorta di compendio di indicazioni per i legali che si avventurano nella redazione o nella rinnovazione dei piani di protezione: la ABA’s 2021 Checklist for Entity Counsel Supervising the Creation or Renewal of an Executive Protection Program.

 

Creata dalla Director and Officer Liability Committee e sottoposta, sia prima che dopo la sua prima pubblicazione, ad un vaglio critico di esperti partecipanti ai programmi ABA nel corso di incontri e di un webinar tenuto ai membri dell’Association of Corporate Counsel, la Checklist viene aggiornata annualmente.

 

Questo strumento funge da guida nella redazione dei piani in modo che siano in grado di fornire adeguata tutela ai dirigenti, senza tuttavia risolversi in un eccessivo aggravio per l’ente e gli azionisti.

 

Il tema, di grande interesse pratico per le implicazioni deontologiche che derivano dalle attività di consulenza legale societaria, obbliga a riflettere altresì sulla definizione dei criteri per l’individuazione della director’s liability, ancora al centro di un acceso dibattito nel panorama statunitense.