Interesse e vantaggio nei reati colposi di evento: la Cassazione conferma l’interpretazione Thyssenkrupp

di  Federica  Zazzaro, Dottoranda di ricerca in Diritto penale

 

 

 

 

1. La vicenda oggetto della pronuncia

 

Con la sentenza n. 39615 del 26 ottobre 2022 la Sezione IV della Corte di Cassazione ritorna sul tema dei criteri oggettivi di attribuzione del reato all’ente e sulla loro compatibilità con i reati presupposto colposi previsti dal d.lgs. n. 231/2001.

 

La vicenda trae origine da un episodio di infortunio sul lavoro, verificatosi durante un’operazione di sostituzione di un nastro trasportatore, evento dal quale derivavano lesioni gravissime ed un’invalidità permanente ai danni di un dipendente dell’azienda.

 

La società veniva condannata nei primi due gradi di giudizio per l’illecito di cui agli artt. 5 e 25-septies d.lgs. n. 231/2001, a causa delle lesioni colpose derivanti dalla violazione delle norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro.

 

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla società ricorrente, accoglieva il secondo motivo relativo alla violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto risultava carente con riferimento all’accertamento in concreto dei requisiti dell’interesse e del vantaggio dell’ente.

 

Pertanto, annullava la sentenza di appello e rinviava per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

 

La sentenza, benché breve, ripercorre in modo efficace l’evoluzione giurisprudenziale elaborata in tema di responsabilità d’impresa. Nella decisione i giudici di legittimità si soffermano sui principali elementi costitutivi dell’illecito dell’ente, analizzando gli aspetti che hanno destato dubbi interpretativi e richiamando le sentenze di legittimità pronunciatesi in punto di diritto.

 

In questa sede cogliamo l’occasione per soffermarci su uno dei punti di maggiore criticità richiamato dalla sentenza in commento ossia l’estensione della disciplina del d.lgs. n. 231/2001 anche ai reati presupposto di omicidio colposo e lesioni colpose, gravi e gravissime, ex art. 589 e 590 c.p. come richiamati dall’art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001.

 

 

2. Il significato attribuito ai requisiti imputativi di “interesse” e “vantaggio” dell’ente

 

La pronuncia si sofferma sul significato da attribuire in concreto ai due parametri di imputazione oggettivi di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231/2001 (cfr. paragrafo n. 6).

 

Il tema rappresenta un primo nodo problematico del rapporto fra d.lgs. n. 231/2001 e delitti colposi di evento ed è stato oggetto di numerose rielaborazioni giurisprudenziali, talvolta favorevoli ad una concezione unitaria, talaltra ad una concezione dualistica dei criteri.

 

La giurisprudenza prevalente ha abbracciato un’impostazione c.d. dualistica dell’interesse e del vantaggio, prendendo definitivamente le distanze dalla teoria monistica (la Corte rinvia a Cass. pen., sent., n. 3615/2005, D’Azzo; Cass. pen., sent., n. 10265/2013, Banca Italease S.p.a.).

 

I due parametri – si legge nella sentenza in commento – sono assolutamente distinti ed autonomi.

 

Così, l’interesse è il criterio soggettivo (indagabile ex ante) consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato.

 

Il vantaggio, al contrario, è il criterio oggettivo (da valutare ex post) consistente nell’effettivo godimento, da parte dell’ente, di un beneficio concreto dovuto alla commissione del reato.

 

La tesi dualistica trova accoglimento anche nella sentenza Thyssenkrupp, secondo cui il criterio dell’interesse esprimerebbe «una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo»; mentre il criterio del vantaggio avrebbe «una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito».

 

 

3. Problema della compatibilità dei reati presupposto colposi con i criteri oggettivi di imputazione ex art. 5 d. lgs. n. 231/2001

 

Con l’inserimento, da parte della L. n. 123/2007, dell’art. 25-septies nella parte speciale del decreto, è emerso ipso facto il problema di adattabilità delle fattispecie colpose alla disciplina di parte generale, e, nello specifico, alla disciplina dei criteri dell’interesse e del vantaggio, di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231/2001.

 

I reati colposi causalmente orientati, fondati sulla mancanza di volontà dell’evento lesivo, appaiono strutturalmente incompatibili con l’idea che l’ente possa perseguire il proprio interesse – attraverso la commissione di questi da parte della persona fisica – o che addirittura possa trarne un qualche vantaggio.

 

Al contrario, la dottrina prevalente ha constatato che dalla morte o dalle lesioni dei lavoratori l’ente non otterrebbe alcun guadagno, bensì sarebbe danneggiato tanto sul piano economico, quanto su quello reputazionale.

 

Il silenzio legislativo sul tema ha portato, sin da subito, la dottrina e la giurisprudenza ad interrogarsi sulla compatibilità del modello di imputazione obiettiva previsto dall’art. 5 con il paradigma dei delitti colposi.

 

In particolar modo, i giudici di merito si sono ritrovati innanzi alla possibilità di scegliere tra il ritenere i suddetti criteri di cui all’art. 5 “incompatibili per eccellenza” con le fattispecie colpose di evento – abrogando di fatto l’art. 25-septies – e il leggere tale combinato disposto alla luce di un’interpretazione più idonea a garantire compatibilità.

 

A fronte del frastagliato panorama offerto dalla giurisprudenza di merito, è nota l’interpretazione risolutiva fornita dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 38343 del 18 settembre 2014, Espenhahn, ampiamente commentata in letteratura.

 

La decisione ha sciolto alcuni snodi interpretativi della disciplina come, ad esempio, l’aver qualificato la natura giuridica della responsabilità dell’ente quale “tertium genus”. Da ciò è derivato sicuramente un forte impatto della pronuncia sulla giurisprudenza successiva, di merito e di legittimità.

 

Non a caso, la sentenza in commento rimanda a numerosi passaggi della decisione delle Sezioni Unite al fine di delineare alcuni aspetti del d.lgs. n. 231/2001 (cfr. paragrafi 5, 6, 7 della statuizione).

 

Come noto, tra le varie questioni affrontate nel caso Thyssenkrupp, la Suprema Corte si è anche occupata della conciliabilità dei delitti colposi, ex art. 25-septies, e i criteri oggettivi di imputazione, ex art. 5 (par. 63 della motivazione).

 

In particolare, dopo aver riconosciuto il carattere di alternatività dei due requisiti, la Corte collega l’interesse o vantaggio dell’ente non all’evento bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica.

 

In altri termini, l’interesse dell’ente consisterà nel voler ottenere una riduzione dei costi di spesa e una massimizzazione del profitto attraverso la condotta di violazione delle norme antinfortunistiche commessa dal singolo soggetto. Mentre il vantaggio sarà formato dall’effettiva ed apprezzabile utilità conseguita dall’ente a seguito della condotta illecita.

 

Nella vicenda Thyssenkrupp, le Sezioni Unite affermavano che «le colpevoli omissioni sono caratterizzate da un contenuto economico rispetto al quale l’azienda non solo aveva interesse, ma se ne è anche sicuramente avvantaggiata, sotto il profilo del considerevole risparmio economico che ha tratto omettendo qualsiasi intervento nello stabilimento di Torino, oltre che dell’utile contemporaneamente ritratto dalla continuità della produzione».

 

 

4. La decisione di diritto della Corte di Cassazione

 

Sulla scorta delle precedenti osservazioni e degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, la Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso afferma che nessun accertamento in concreto era stato compiuto dalla Corte territoriale circa l’eventuale vantaggio economico dell’ente derivante dalla violazione di regole cautelari da parte delle persone fisiche.

 

I giudici di merito, al contrario, si erano limitati ad affermare che la scelta di operare di notte scaturiva, senza dubbio, dalla volontà di evitare che queste operazioni di manutenzione si svolgessero in orario diurno e, quindi, dalla volontà di ottimizzare la produzione dell’azienda.

 

Tuttavia, sebbene questa scelta d’impresa abbia ridotto significativamente i livelli di sicurezza garantiti a ciascun dipendente, non si può affermare con certezza che la società abbia avuto un qualche interesse soggettivo o abbia tratto anche un minimo vantaggio dalla condotta illecita posta dal soggetto. Pertanto, la sentenza impugnata presenta insuperabili lacune in punto di accertamento degli elementi costitutivi del reato dell’ente.

 

 

 

 

Per consultare la sentenza della Corte di Cassazione, n. 39615/2022, cliccare qui.