CS3D, nuovi obblighi per la grande impresa, effetti su PMI ed enti stranieri

di Megi Trashaj,    Assegnista  di ricerca;   Avvocato

 

 

Il 24 maggio 2024 il Consiglio UE ha approvato il testo della Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D, CSDDD o Supply Chain Act), che modifica la Dir. UE 2019/1937 (in materia di whistleblowing) e il Reg. UE 2023/2859 (sull’accessibilità di informazioni relative ai servizi finanziari, ai mercati dei capitali e alla sostenibilità).

 

L’approvazione giunge all’esito di un complicato iter che prendeva ufficialmente avvio con la proposta della Commissione europea del febbraio 2022 alla quale, nel dicembre del 2023, è seguito prima un accordo politico tra Parlamento e Consiglio UE e poi il via libera, nell’aprile 2024, dall’Istituzione eletta dai cittadini dell’Unione.

 

La nuova Direttiva si ispira ai Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani e alle linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali. Essa disciplina il dovere di diligenza aziendale, imponendo alle imprese nuovi obblighi che possono riassumersi con il dovere dell’ente di operare tenendo in considerazione l’impatto negativo che l’attività aziendale è in grado di generare rispetto alle due macro-aree oggetto di tutela: diritti umani e ambiente.

 

Con questo atto si conferma il passaggio dalla responsabilità sociale delle imprese, su base puramente volontaria, ad un sistema normativo vincolante.

 

1. Obiettivo della direttiva e supply chain

 

La CS3D rientra tra gli interventi normativi in materia di compliance aziendale, essa si sofferma sul tema della sostenibilità e ha come scopo quello di promuovere, attraverso la disciplina di procedure di due diligence, comportamenti imprenditoriali rispettosi dei lavoratori e del pianeta.

 

1.1 Oggetto della tutela

Diritti umani e ambiente sono le due marco-aree alle quali è dedicata la nuova normativa.

 

Con riferimento al primo settore (diritti umani), la Direttiva mira a fornire tutela a tutti i diritti umani sanciti dagli strumenti internazionali riportati nella prima parte dell’Allegato alla CS3D. Tra gli altri, sono elencati il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamento crudele, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il divieto di interferenze arbitrarie o illegittime nella vita privata o familiare, il divieto di interferenze nella libertà di pensiero, coscienza e religione (Patto internazionale relativo ai diritti civile e politici); il diritto di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, tra cui un equo salario e un salario atto a garantire condizioni di vita dignitosa per i lavoratori dipendenti e un reddito di sussistenza per i lavoratori autonomi, il divieto di limitare l’accesso dei lavoratori a un alloggio adeguato, nonché a un’alimentazione, a un vestiario e a servizi idrici e igienico-sanitari adeguati (Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali); il diritto del minore al miglior stato di salute possibile e all’educazione (Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza); il divieto di disparità di trattamento in materia di occupazione (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sull’uguaglianza di retribuzione).

 

Per quanto attiene al secondo settore (ambiente e lotta al cambiamento climatico), il dovere di diligenza dovrebbe comprendere gli impatti ambientali negativi causati dalla violazione di uno dei divieti o degli obblighi elencati nella prima e seconda parte del menzionato Allegato. Tra essi, il divieto di causare qualsiasi degrado ambientale misurabile, l’obbligo di evitare o attenuare gli impatti negativi sulla diversità biologica(Convenzione sulla diversità biologica); i divieti in materia di uso di mercurio (Convenzione di Minamata); i divieti di produzione e uso delle sostanze chimiche (Convenzione di Stoccolma); il divieto di manipolazione, raccolta, stoccaggio e smaltimento illeciti dei rifiuti (Convenzione sugli inquinanti organici persistenti); i divieti in materia di rifiuti pericolosi (Convenzione di Basilea), l’obbligo di evitare o attenuare gli impatti negativi sulle proprietà considerate patrimonio naturale (Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale), l’obbligo di prevenire l’inquinamento causato dalle navi (Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi).

 

 

1.2 Gli obblighi di compliance sulla catena di fornitura

Con la nuova Direttiva, le aziende sono destinatarie di obblighi di controllo, in cui si estrinseca appunto l’attività di due diligence, sull’intera catena di fornitura globale (supply chain), nel dichiarato obiettivo di innalzare le tutele nei settori di riferimento anche rispetto ad attività economiche svolte in Stati extraeuropei, ove gli standard di garanzia potrebbero essere inferiori a quelli assicurati all’interno dell’UE.

Come espressamente indicato dalla Direttiva, infatti, gli impatti negativi rispetto ai quali deve essere esercitata la dovuta diligenza sono quelli sui diritti umani e sull’ambiente, «siano essi effettivi o potenziali», e incombono sulle società con riferimento alle «proprie attività», quelle delle affiliate e quelle svolte dai «partener commerciali» (art. 1).

 

2. La più ampia cornice normativa

 

Volendo leggere la nuova Direttiva nella più ampia cornice degli interventi UE in materia di sostenibilità, essa rappresenta un importante tassello del Green Deal Europeo con il quale, è noto, si vuole diminuire progressivamente (attraverso eterogenei interventi in materia di energia, trasporti, tasse, etc.) l’impatto climatico, fino a raggiungere l’ambizioso obiettivo “zero” entro il 2050.

 

Le disposizioni della CS3D intersecano diverse altre fonti che, più o meno di recente, sono intervenute sulla materia disciplinata dalla nuova Direttiva, tra le quali:

  • la Direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Dir. UE 2022/2464, cd. CSRD), entrata in vigore nel 2023, che rende il bilancio di sostenibilità un importante documento di compliancedisciplinandone struttura, contenuto e regole di redazione;
  • il Regolamento sulla Tassonomia (Reg. UE 2020/852), in vigore dal 2022, il quale, offrendo una definizione delle attività ecosostenibili, mira a far aumentare gli investimenti sostenibili;
  • il Regolamento relativo alla Informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Reg. UE 2019/2088), in vigore dal 2021, che mira a incrementare la trasparenza dei prodotti finanziari per quanto concerne le loro correlazioni con questioni ambientali e sociali;
  • la Direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (Dir. UE 2004/35), che pone regole in materia di responsabilità e danno ambientale (senza però guardare all’attività dell’ente con riferimento alla filiera).

 

3. Cenni alla disciplina in materia di due diligence già vigente in Francia e Germania

 

L’intervento a livello euro-unitario si sovrappone ad alcune iniziative già adottate su scala nazionale, e che pur connotate da alcune diversità si muovono tutte nella direzione di rafforzare i doveri di vigilanza delle imprese con sede nello Stato di riferimento lungo l’intera catena di fornitura. Naturalmente, tra gli obiettivi della Direttiva c’è anche quello di addivenire all’armonizzazione degli obblighi vigenti nei diversi Stati membri.

 

A tal proposito è utile evidenziare che in Francia, la Loi de Vigilance (n. 2017-399 del 27 marzo 2017) già da tempo prevede l’obbligo per determinati enti, da individuarsi sulla base del numero di dipendenti impiegati in Francia o nel mondo, di dotarsi di un cd. plan de vigilance per affrontare i rischi che l’attività d’impresa può determinare per i diritti umani, alla salute e sicurezza dei dipendenti o all’ambiente. Le disposizioni del 2017 sono confluite nel Codice del commercio francese (L. 225-102-4 e 5) che positivizza rimedi e sanzioni di tipo civilistico.

Di recente abbiamo commentato la decisione del Tribunale di Parigi sul caso La Poste, in cui per la prima  volta l’autorità giudiziaria francese si pronuncia nel merito sul dovere di due diligence, accertando la violazione degli obblighi imposti dalla Loi n. 2017-399.

 

In Germania la legge sulla catena di fornitura (del 16 luglio 2021) è entrata in vigore dal 2023 e ha introdotto un sistema di obblighi per le persone giuridiche (anche in tal caso individuate sulla base del numero di dipendenti impiegati) in materia di diritti umani e ambiente e l’istituzione di un organo di controllo per la verifica dei report aziendali con poteri di applicare sanzioni pecuniarie ma anche interdittive (es. esclusione dagli appalti pubblici). Anche su queste disposizioni ci siamo precedentemente soffermati.

 

4. Ambito di applicazione della CS3D, limiti dimensionali, PMI e settore finanziario

 

Gli obblighi di due diligence coinvolgono formalmente solo le grandi aziende, e proprio l’individuazione delle soglie dimensionali e di fatturato per applicare la Direttiva è stata oggetto di grande discussione nel corso dell’approvazione del testo legislativo. La Direttiva si applica tanto alle società costituite in conformità alla normativa di uno Stato membro (art. 2, comma 1) quanto a enti che seguono le regole di Paesi terzi (art. 2, comma 2).

 

Nel primo caso, quello delle società di uno Stato membro, la disciplina riguarda

  • enti che abbiano (in media) più di 000 dipendenti e un fatturato mondiale superiore ai 450 milioni di euro nell’ultimo esercizio (art. 2, comma 1, lett. a);
  • persone giuridiche capogruppo di gruppi che raggiungano i limiti dimensionali di cui sopra nell’ultimo esercizio (art. 2, comma 1, lett. b);
  • aziende (individuali o quali capo gruppo) con accordi di franchising o di licenza nell’UE per effetto dei quali addivengano a un fatturato mondiale superiore a 80 milioni di euro, se almeno 22,5 milioni di euro sono generati da royalties (art. 2, comma 1, lett. c);

 

Simili sono le disposizioni per individuare le società straniere sottoposte alla Direttiva, anche se, per esse, non si dovrà fare riferimento al numero di dipendenti e sono dettate regole territoriali diverse per individuare la soglia di fatturato rilevante (art. 2, comma 2). Gli enti che non hanno sede in UE (o che hanno più succursali nei diversi Paesi UE), dovranno fare riferimento alla normativa interna dello Stato membro in cui la società ha generato il fatturato netto più elevato nell’esercizio precedente l’ultimo esercizio (art. 2, comma 7).

 

Alla luce di questa disciplina, deriva che le PMI e le microimprese sono escluse dall’ambito della CS3D. In realtà, però, esse ben potrebbero essere indirettamente vincolate a rispettare il dovere di diligenza nel caso in cui entrino nella catena di valore delle grandi aziende. Stando al considerando n. 69 della CS3D, infatti, «sebbene non ricadano nell’ambito di applicazione della presenta direttiva, le PMI potrebbero essere interessate dalle sue disposizioni in qualità di appaltatori o subappaltatori delle società che invece vi ricadono […]. Le società il cui partner commerciale è una PMI sono incoraggiate a sostenerla affinché rispetti le misure relative al dovere di diligenza e a stabilire nei suoi confronti obblighi equi, ragionevoli, non discriminatori e proporzionati».

 

Un tema particolarmente dibattuto è stato quello relativo all’esenzione dalla Direttiva del settore finanziario (cfr. art. 3, lett. a), considerate le peculiarità che riguardano la catena del valore di queste imprese cioè i partner commerciali che usufruiscono dei loro servizi e prodotti.

Eurosif (European Sustainable Investment Forum), IIGCC (Institutional Investors Group on Climate Change) e PRI (Principles for Responsible Investment) in un documento congiunto avevano espresso parere favorevole rispetto all’applicabilità della Direttiva nel settore in questione: le disposizioni non erano ritenute lesive della competitività delle istituzioni finanziarie.

Nonostante ciò, nella CS3D si adotta una soluzione di compromesso che limita l’applicabilità della Direttiva differenziando per ambiti di operatività.  In particolare, «per le imprese finanziarie regolamentate, la definizione di “catena di attività” non dovrebbe comprendere i partner commerciali a valle che ricevono i loro servizi e prodotti. Pertanto, per quanto riguarda le imprese finanziarie regolamentate, la presenta direttiva si applica solo alla parte a monte, ma non a valle, delle loro catene di attività» (considerando 26). In ogni caso le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali, teorizzando il cd. effetto leva, forniscono già indicazioni circa le misure adeguate ed efficaci che le imprese finanziarie dovrebbero adottare nei processi di attuazione del dovere di diligenza e dunque in quelli da adottare per influenzare le scelte delle società con cui entrano in contatto.

 

5. Approccio basato sul rischio e obblighi

 

Come noto, l’attività di due diligence presuppone un approccio basato sul rischio che può essere sintetizzato facendo riferimento a due macro-passaggi.

In primis, è richiesta alla società l’identificazione dei rischi correlati all’attività aziendale. In questa fase sarà indispensabile per l’ente individuare circostanze e fattori di prevedibile dannosità tenendo in considerazione elementi quali: l’attività esercitata, le dimensioni economico-organizzative dell’azienda, la qualità e l’estensione della catena di valore.

A questo step seguirà quello della gestione dei rischi, dunque l’adozione di strategie che, tenendo conto della probabilità e della gravità degli impatti negativi dell’attività d’impresa sulla società civile e sull’ambiente, siano efficaci per il loro contrasto.

 

Pertanto, la CS3D richiede che il rischio in materia di diritti umani e ambientali sia affrontato dall’ente mediante le seguenti misure:

 

  • integrazione delle attività di due diligence nelle politiche di gestione della società (art. 5, comma 1, lett. a).

Tali politiche dovranno essere elaborate previa consultazione con i dipendenti della società e i loro rappresentanti. Presuppongono una descrizione dell’approccio (a breve e a lungo termine) della società nei confronti del dovere di diligenza, la formalizzazione di codici di condotta e principi cui devono attenersi sia la società emittente che le affiliate e i partner commerciali, una esposizione delle procedure predisposte per l’integrazione del dovere di diligenza nelle politiche della società (art. 7).

 

 

  • Individuazione e valutazione degli impatti negativi dell’attività aziendale e attribuzione agli stessi di un ordine di priorità (art. 5, comma 1, lett. b).

L’ente dovrà mappare le attività (proprie, delle controllate e dei partner commerciali), se necessario chiedendo direttamente informazioni alla catena di valore, e individuare i settori in cui è probabile che si verifichino impatti negativi, in relazione ad essi dovrà condurre approfondite relazioni (art. 8). Quando non sia possibile gestire (nel senso di prevenire, attenuare, arrestare, minimizzare) contemporaneamente e in modo completo tutti gli impatti negativi individuati si procederà ad affrontare in via prioritaria quelli più significativi e cioè più gravi e più probabili, successivamente, entro un ragionevole lasso di tempo, andranno gestiti anche i restanti rischi (art. 9).

 

 

  • Prevenzione e attenuazione dei rischi, arresto e minimizzazione degli impatti negativi effettivi (art. 5, comma 1, lett. c).

I presidi implicano la predisposizione di un piano che preveda scadenze ragionevoli e precise, richieste contrattuali ai partner circa il rispetto dei codici di condotta, investimenti (finanziari e non) su impianti e infrastrutture, sostegno mirato alle PMI partner per ottenere il loro adeguamento al codice di condotta o, come opzione ultima, l’astensione da rapporti con le stesse. È inoltre necessaria la collaborazione con altri soggetti deputati ad aiutare l’ente nel raggiungimento degli obiettivi di compliance (artt. 10 e 11).

 

 

  • Riparazione degli impatti negativi effettivi (art. 5, comma 1, lett. d).

Gli Stati membri dovranno fare in modo che, qualora una società abbia causato un impatto negativo effettivo, fornisca una riparazione. Se l’impatto è causato in via esclusiva da un ente della filiera quest’ultimo può fornire una riparazione volontaria. La società tenuta al rispetto della CS3D potrà avvalersi della sua capacità di influenzare il partner commerciale affinché fornisca la riparazione (art. 12).

 

 

  • Svolgimento di un dialogo significativo con i portatori di interessi (art. 5, comma 1, lett. e).

Gli Stati UE dovranno instaurare procedure che permettano un efficace dialogo tra le imprese e i portatori di interessi. Questi ultimi sono autorizzati a presentare richieste di informazioni supplementari e l’eventuale diniego dell’ente dovrà essere adeguatamente motivato. La consultazione avviene in tutte le diverse fasi di attuazione del dovere di diligenza e cioè durante la individuazione del rischio, la elaborazione dei piani di azione, la decisione di cessare o sospendere i rapporti con i partner commerciali ecc. (art. 13).

 

 

  • Instaurazione e mantenimento di un meccanismo di notifica e di una procedura di reclamo (art. 5, comma 1, lett. f).

Gli stakeholder potranno presentare un reclamo qualora nutrano un legittimo timore circa gli impatti negativi (potenziali o effettivi) delle attività della società o dei suoi partner commerciali. In particolare, la procedura di reclamo è disciplinata per le persone fisiche e giuridiche (o gli enti che rappresentano i loro interessi), i sindacati e altri rappresentanti dei lavoratori, le organizzazioni della società civileattive nei settori collegati all’impatto ambientale oggetto di reclamo. Le società dovranno pertanto disegnare una procedura equa e trasparente per la gestione dei reclami, dialogare con gli stakeholder, fornire informazioni sulla loro posizione rispetto al reclamo. La notifica da parte di persone e soggetti che dispongano di informazioni circa gli impatti negativi potrà essere anche anonima, il segnalante dovrà essere tutelato dal rischio di eventuali ritorsioni (art. 14).

 

 

  • Monitoraggio dell’efficacia della politica e delle misure relative al dovere di diligenza (art. 5, comma 1, lett. g).

Le imprese dovranno valutare l’attuazione e monitorare adeguatezza ed efficacia degli interventi adottati per la gestione del rischio. La valutazione dovrà basarsi su indicatori qualitativi e quantitativi ed è effettuata senza ritardi dopo un cambiamento significativo che riguarda l’ente, ogniqualvolta vi sia fondato motivo di nuovi rischi e, in ogni caso, almeno ogni 12 mesi (art. 15).

 

 

  • Comunicazione pubblica sul dovere di diligenza (art. 5, comma 1, lett. h).

Ogni società dovrà riferire sulle materie disciplinate dalla Direttiva pubblicando annualmente sul proprio sito web una dichiarazione entro un termine ragionevole e comunque, di norma, non oltre 12 mesi dalla data di chiusura del bilancio d’esercizio per il quale è redatta. Gli enti di diritto straniero dovranno comunicare anche i dati di un mandatario (persona fisica o giuridica) stabilito/domiciliato in uno Stato membro. Entro il 2027 la Commissione indicherà il contenuto e i criteri di tale rendicontazione (art. 16). Entro il 2029 la dichiarazione annuale dovrà essere trasmessa anche all’organismo di raccolta e cioè al Punto unico europeo ESAP (art. 17).

 

 

Con specifico riferimento alla lotta ai cambiamenti climatici, la CS3D prevede che gli enti debbano adottare e attuare «un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l’accordo di Parigi nonché con l’accordo di conseguire la neutralità climatica»  (art. 22).

Il piano dovrà prevedere: obiettivi temporalmente definiti sulla base di «prove scientifiche conclusive» e, se opportuno, «obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas serra»; la descrizione delle attività di decarbonizzazione; una quantificazione dei finanziamenti a sostegno del piano di mitigazione dell’impatto climatico; l’illustrazione del ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo rispetto al piano.  Il piano dovrà essere aggiornato con cadenza annuale.

Nel testo dell’iniziale Proposta di direttiva era anche previsto, sempre con riferimento alle attività di lotta al cambiamento climatico, che le società avrebbero fissato la remunerazione variabile degli amministratori, qualora collegata al contributo rispetto alla strategia aziendale, «agli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società». Tale disposizione non è invece presente nel testo finale della Direttiva.

 

6. Vigilanza e sanzioni

 

Ciascuno Stato dovrà designare una o più autorità indipendenti di controllo e affidare loro il compito di vigilare sull’applicazione degli obblighi derivanti dalla Direttiva (art. 24).

Le autorità dovranno essere dotate di poteri e risorse adeguati a svolgere l’attività, dovranno inoltre essere autorizzate a chiedere informazioni alle imprese e a svolgere indagini rispetto al loro operato. Qualora venga rilevata un’inosservanza esse concederanno un congruo periodo all’ente per adottare provvedimenti correttivi, il che però non esclude l’imposizione di sanzioni o la responsabilità civile dell’ente (art. 25). L’autorità inoltre raccoglierà e istruirà, mediante canali facilmente accessibili, eventuali segnalazioni circostanziate circa il mancato rispetto della Direttiva, informazioni che potranno pervenire sia da persone fisiche che da persone giuridiche (art. 26).

 

Oltre a disciplinare il tema della responsabilità civile (art. 29), la Direttiva detta precise disposizioni in materia di sanzioni per la violazione degli obblighi derivanti dalla Direttiva (art. 27). Gli Stati membri dovranno, perlomeno, prevedere:

  • le sanzioni pecuniarie. La sanzione dovrà essere, nel massimo, pari ad almeno il 5% del fatturato netto mondiale della società (si terrà in considerazione l’esercizio precedente rispetto alla decisione che impone la sanzione);
  • il meccanismo del naming and shaming. Nel caso di mancata conformazione dell’ente rispetto alla sanzione pecuniaria, si darà corso ad una dichiarazione pubblica indicante la società responsabile e la natura della violazione.

 

7. Tempi per il recepimento

 

Dall’effettiva entrata in vigore della CS3D (20° giorno dopo l’attesa pubblicazione GUUE), gli Stati membri avranno 2 anni di tempo per recepirne le disposizioni.

 

Le tempistiche di applicazione, che decorrono anch’esse dall’entrata in vigore della Direttiva, variano invece in base alle dimensioni dell’azienda:

  • le imprese con più di 5.000 dipendenti e 1.500 milioni di euro di fatturato, avranno 3 anni di tempo,
  • quelle con più di 3.000 dipendenti e 900 milioni di euro di fatturato, 4 anni,
  • quelle con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato, 5 anni.

 

8. Sostenibilità e hard law, Bruxelles effect e opportunità per l’ente

 

Come anticipato, il processo di negoziazione, che ha portato all’approvazione della Direttiva, è stato molto complicato. Il principale timore era (ed è) quello relativo all’elevato impatto – soprattutto economico –  che le misure della CS3D avranno sulle imprese. Esse, infatti, si vanno ad aggiungere a tutti gli altri (complicati) obblighi in materia di sostenibilità già vigenti. Il problema è stato evidenziato anche dalle associazioni industriali di diversi Stati membri che vedono con sfavore regole finanziariamente onerose ed eccessivamente complicate.

 

Guardando la situazione da una prospettiva più ampia si può affermare che, per effetto dell’evolversi delle richieste da parte di investitori e finanziatori e delle crescenti pressioni ad opera della società civile, negli ultimi anni sia in generale cresciuta l’attenzione per il tema della sostenibilità. Da qui il dibattito in materia di capitalismo responsabile e, di conseguenza, il nascere di soft law (linee guida, principi) e autoregolamentazioni aziendali (codici di condotta) volte a incentivare un’attività imprenditoriale produttiva di benefici per la comunità. Per diverso tempo l’intervento pubblico si è mantenuto, tutto sommato, limitato.

 

Progressivamente, l’ineffettività delle soft law, così come l’aggravarsi delle tematiche ambientali e sociali, hanno poi portato il legislatore, soprattutto quello comunitario, a interventi più forti – attraverso hard law – volti ad assicurare un più efficace contrasto al cambiamento climatico e una più seria protezione dei diritti umani. Ne è derivato un assetto in cui gli obblighi legalmente imposti in materia di compliance e sostenibilità sono proliferati aprendo a un significativo numero di problemi e di costi per le imprese: moderni assetti di governance da progettare, nuovi rischi da gestire, diverse e complicate norme da rispettare, il che, evidentemente, comporta per l’ente significativi sforzi in termini, per esempio, di risorse umane e di spese.

 

Il proliferare della regolazione si interseca con il tema del cd. Bruxelles effect, che indica l’influenza della normativa di provenienza europea sui mercati e sulle imprese extra UE. Le nuove stringenti disposizioni della CS3D potrebbero infatti diventare nuovo standard per molte imprese straniere, anche se operanti fuori dai confini dell’Unione e formalmente prive di rapporti commerciali con Stati Ue. Come avvenuto, per esempio, per il Regolamento sulla protezione dei dati GDPR.

 

Il Bruxelles effect, pur comportando diverse conseguenze positive per l’UE (tra cui la standardizzazione globale delle policy e il potenziamento del mercato dell’Unione), a sua volta, porta con sé diverse sfide, la più importante è quella relativa agli elevati costi di conformità che dovranno sostenere gli enti per aderire, per obbligo o per scelta volontaria, agli standard comunitari. Con specifico riferimento al tema compliance e sostenibilità, però, l’adesione alle più gravose regole europee potrebbe essere incentivata dai vantaggi e dalle opportunità per l’ente straniero che opera ponendo attenzione al tema della tutela dei diritti umani e dell’ambiente: consolidamento di una buona brand reputation, miglioramento del clima interno di lavoro, potenziamento dei rapporti con gli stakeholders, nuove opportunità di business in UE.