Estensioni della Corporate Liability in Uk: verso una riforma della identification doctrine

di  Claudia Cantisani,  Assegnista di ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

Nel caso Barclays di due anni fa per ben due volte l’omonima società è stata assolta dalle imputazioni di “conspiracy to commit fraud”, come formulate dall’UK Serious Fraud Office (SFO) per avere l’ente concorso con i senior executives nel pagamento di commissioni truccate. Non era stato provato, infatti, che i senior executives fossero la “directing mind and will” della società nelle specifiche circostanze della vicenda oggetto di giudizio.

 

Questo – tra le più citate vicende giudiziarie relative ai problemi che scaturiscono dall’odierna disciplina d’oltremanica sulla responsabilità dell’ente – e molti altri casi hanno spinto il Governo del Regno Unito (in particolare, cfr. la pagina del Home Office al link) a predisporre i termini per una riforma della disciplina sulla corporate liability, attraverso la revisione della cd. “identification doctrine”: la teoria che permette di imputare all’ente gli illeciti commessi dagli apicali che dirigono le attività d’impresa, e che per tale ragione ne rappresentano la volontà, ove questi siano stati coinvolti nel reato anche a titolo di partecipi (“if it had been performed by, or with the consent or connivance of, a “senior manager”, cfr. Law Commission’s Options Paper 2022 ).

 

L’attuale doctrine, infatti, che permette di incriminare l’ente per una cospicua categoria di reati (tra i quali corruzione, riciclaggio, truffa, frode fiscale) solo ove gli illeciti siano commessi da soggetti che ne rappresentano la “directing mind and will”, finisce per restringere drasticamente i casi di responsabilità d’impresa.

 

Ciò vale soprattutto per le grandi società, il cui schema organizzativo, spesso complesso, ostacola la precisa individuazione dei centri decisionali, portando, così, a sicure assoluzioni.

 

Posto che la riforma – che comprende anche il recente ECCT Bill, sul quale già ci siamo concentrati in un precedente post –  è diretta a superare questo limite, essa viene salutata con favore e considerata di estrema utilità: si ritiene, infatti, che da un lato possa incentivare comportamenti imprenditoriali virtuosi, e dall’altro agevolare le attività dei prosecutors.

 

D’altra parte, la riforma ha più precisamente lo scopo di codificare criteri d’imputazione in tema di corporate crime, posto che nel common law la definizione dei parametri per la corporate liability è andata sviluppandosi per lo più attraverso la giurisprudenza, a partire, in particolare, dal caso Tesco v. Nattrass (di cui al link). La definizione di parametri per la determinazione della responsabilità d’impresa rappresenta dunque un traguardo importante per assicurarne un’uniforme applicazione.

 

Vediamo in breve gli essenziali punti della proposta di modifica.

 

 

 

 

2. Le “directing mind and will”

Anzitutto, si parte dalla premessa che la “directing mind and will” dell’ente è sempre stata interpretata in common law come quella imputabile ai “most senior company executives”, cioè i più alti dirigenti d’azienda.

 

Secondo la nuova disciplina, da ultimo proposta, invece, il senior manager è definito come: “…an individual who plays a significant role in — (a) the making of decisions about how the whole or a substantial part of the activities of the body corporate or (as the case may be) partnership are to be managed or organised, or (b) the actual managing or organising of the whole or a substantial part of those activities”; una formula, questa, tratta dall’art. 1 (4) (c) del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, e ulteriormente dettagliata nelle relative Explanatory Notes, nelle quali si specifica che l’espressione copre sia la diretta catena di management, sia i ruoli strategici ad essa limitrofi (“[it] covers both those in the direct chain of management as well as those in, for example, strategic or regulatory compliance roles.”, v. Section 1; 17).

 

Appartengono dunque alla predetta categoria sia coloro che ricoprono un ruolo significativo nel prendere decisioni di management aziendale sia coloro che effettivamente dirigono o organizzano l’intero corpo o una sostanziale parte delle attività d’impresa.

 

Il dettato normativo fa ricorso alle espressioni “significant role” e “substantial part” volutamente ampie e dirette per questo ad accordare un maggior margine di manovra all’autorità giudiziaria.

 

Pur ammettendo le perplessità che potrebbero derivare dalla scelta di affidare la definizione dei “decision-makers” aziendali alle Corti, senza tuttavia fornire loro indicazioni e linee-guida (ciò, almeno per il momento), è tuttavia indicativo il passaggio da criteri d’imputazione di tipo formale (fondati sul “job title”) a criteri di tipo sostanziale, basati su elementi di fatto capaci di dimostrare l’effettivo esercizio del potere decisionale (per es. l’effettiva “managerial influence”), senza che questo rimanga ancorato ad una mera presunzione.

 

Ciò permette non solo di assicurare maggiore chiarezza sui parametri di valutazione – da individuare in concreto – bensì anche di avvicinare le regole di giudizio alle moderne strutture aziendali, in cui i centri decisionali oltre che molteplici, sono altresì variamente distribuiti in relazione alle diverse funzioni esercitate dai soggetti del complesso organizzativo.

 

 

 

 

3. Verso un maggiore equilibrio tra SMEs e grandi imprese

Si osserva, tra i commenti più recenti alla proposta di modifica (v. link) che tra i “meriti” della riforma vi sarebbe il suo effetto “distributivo”, di equo livellamento delle imprese diverse per dimensioni (“levelling the playing field”).

 

La disciplina della strict identification doctrine finisce per penalizzare, infatti, soprattutto le piccole e medie imprese, la cui ridotta complessità organizzativa permette di individuare più agevolmente i titolari del potere decisionale. Con l’estensione delle condizioni di corporate liability si riducono i margini di discriminazione tra imprese in base al criterio dimensionale.

 

 

 

 

4. Quali fattispecie copre la riforma?

Le offences di stampo economico di cui le imprese divengono più frequentemente autrici sono quelle riconducibili alla nozione di “fraud” (per l’estensione della quale si rinvia al nostro post precedente), il riciclaggio, i reati fiscali.

 

Anche se nell’attuale ECCT Bill non è prevista l’applicazione a tutte le fattispecie penalmente rilevanti, secondo l’Economic Crime Plan e la Fraud Strategy (v. link) il governo britannico dovrà estendere la riforma sulla corporate liability a tutti i reati.

 

L’indirizzo politico attuale in tema di criminalità economica sembra essere, infatti, di favorire il più possibile le strategie per un energico contrasto al corporate crime, le cui forme di realizzazione sono sempre più sofisticate ed estese ad una vasta categoria di illeciti.

 

 

 

5. Conclusioni

Il fermento sui temi ora esposti segnala che il bisogno di ripensare le strategie d’imputazione nei sistemi complessi è attuale, urgente e gravido d’implicazioni pratiche estremamente rilevanti (si pensi già solo alla giurisdizione per le multinazionali).

 

La scelta del governo britannico si rivela rivoluzionaria e moderata allo stesso tempo, perché pur proponendo un’estensione della dottrina già esistente piuttosto che una sua cancellazione radicale (come avrebbe potuto essere con l’adozione di diversi modelli d’imputazione, tra i quali la “vicarious liability” statunitense), essa apre le porte ad un ripensamento della corporate liability dall’impatto pratico tutt’altro che irrilevante.

 

Indipendentemente da come queste “opzioni” verranno tradotte in un prossimo futuro, sembra plausibile ritenere che le imprese si muoveranno con anticipo rimodulando i propri sistemi di compliance nella direzione più compatibile con i contenuti della riforma.