1.Introduzione. La riforma della disciplina della responsabilità civile dei sindaci.
Il 12 aprile 2025 è entrata in vigore la legge 14 marzo 2025, n. 35 intitolata “Modifica dell’articolo 2407 del Codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale” che ha segnato una tappa cruciale nel processo di modifica della disciplina della responsabilità dell’organo sindacale.
La riforma, inserendosi nel contesto di un più ampio dibattito dottrinale che aveva messo in luce le forti criticità presenti nella disciplina civilistica, intende ridurre le ipotesi di risarcibilità del danno a carico dei membri del collegio sindacale, parametrandole al compenso dai medesimi effettivamente percepito.
La legge del 14 marzo 2025, n. 35, in particolare, è intervenuta sull’art. 2407 c.c., eliminando la previsione di cui al secondo comma che sanciva una responsabilità in solido dei sindaci con gli amministratori e introducendo al quarto comma un nuovo termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione di responsabilità contro i sindaci.
Tale modifica, che si connota di una indiscussa rilevanza sul piano civilistico, incidendo in modo diretto sui profili di responsabilità del collegio, potrebbe produrre di riflesso alcuni effetti anche sul piano penalistico.
Com’è noto, il tema della responsabilità penale dei sindaci è stato al centro di un ampio dibattito dottrinale, che nel corso del tempo ha denunciato una non corretta ricostruzione ad opera della giurisprudenza della responsabilità di tali soggetti, sollevando notevoli dubbi soprattutto nei casi di condotte di mancata vigilanza sull’operato degli amministratori. Il problema dell’estensione indiscriminata della responsabilità dei gatekeepers – in particolare dei sindaci – risale all’inizio degli anni Ottanta quando in concomitanza con alcuni noti scandali finanziari la magistratura penalistica iniziò a fare applicazione in modo generalizzato e improprio di una serie di schemi presuntivi e meccanismi imputativi, prendendo spunto da quella consolidata giurisprudenza civilistica che negli anni Settanta li riteneva sistematicamente responsabili in solido dei danni causati dagli amministratori.
Questa tendenza sviluppatasi nella prassi giurisprudenziale e volta a riconoscere ai sindaci una responsabilità per fatti dannosi non personalmente imputabili agli stessi e con pene sproporzionate rispetto al loro compenso, ha ingenerato un’ampia riflessione sulla necessità di delineare e limitare i confini applicativi della responsabilità dei sindaci.
In tale contesto la riforma – attraverso la soppressione del previgente secondo comma della disposizione – ha apportato alcune significative modifiche al sistema civilistico che potrebbero avere riflessi anche sull’attribuzione della responsabilità penale omissiva dei sindaci ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., essendo quest’ultima connessa al ventaglio di poteri e doveri richiamati dalla disciplina civilistica.
Sebbene la riforma non sia stata ancora oggetto di approfondimenti e riflessioni sotto questo aspetto, in tale sede si vuole volgere lo sguardo all’attuale intervento legislativo, cercando di fare qualche breve considerazione sui possibili effetti attinenti al piano penalistico che si inseriscono nel più ampio dibattito sul rispetto del principio di personalità della responsabilità penale dei sindaci.
2.Il nuovo art. 2407 c.c. e le modifiche sul piano civilistico
Come si è detto, la legge 14 marzo 2025, n. 35 entrata in vigore il 12 aprile 2025 ha inciso in modo significativo sulla disciplina della responsabilità civile del collegio sindacale, apportando alcune modifiche all’art. 2407 c.c.
Attraverso questa riforma il legislatore è intervenuto sulla disciplina della responsabilità dei sindaci mantenendo immutata la previsione di cui al co.1 dell’art. 2407 c.c. che stabilisce una responsabilità diretta ed “esclusiva” al verificarsi di situazioni in cui il sindaco omette di adempiere ai propri doveri con la professionalità e la diligenza che gli sono richieste dalla natura dell’incarico, nell’ipotesi in cui viola il dovere di verità delle attestazioni rese nel proprio incarico o, infine, in caso di violazione del dovere di conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui è venuto a conoscenza per via dell’incarico stesso. Al contrario, è stato modificato il secondo comma, prevedendo una disciplina che si applica in modo uniforme per tutte le azioni di responsabilità esercitabili avverso i sindaci secondo quanto consentito dall’ordinamento vigente – ossia, azione sociale di responsabilità, azione avviata dai creditori sociali e azione esperita dai soggetti terzi che eccepiscano di avere subito un danno e di averne titolo – e definendo, sotto il profilo quantitativo, un sistema di perimetrazione della responsabilità del sindaco ancorato ad un importo massimo corrispondente al risultato pari al prodotto di un multiplo applicato al compenso percepito dal sindaco per lo svolgimento dell’incarico.
Nel dettaglio, il legislatore ha riscritto il secondo comma prevedendo che «Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell’articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi». In via ulteriore, sono stati stabiliti dei limiti alla responsabilità dei sindaci, attraverso un sistema di calcolo basato su scaglioni di compenso, che ridimensiona la responsabilità a seconda dell’emolumento percepito: «per compensi fino a 10.000 euro la responsabilità può raggiungere fino a quindici volte il compenso annuo, per compensi da 10.000 a 50.000 euro la responsabilità è limitata a dodici volte il compenso annuo, per compensi superiori a 50.000 euro la responsabilità è contenuta a dieci volte il compenso annuo».
Secondo tale previsione, il limite imposto al danno risarcibile per le ipotesi di condotte colpose dei sindaci nell’esercizio della loro attività viene a cadere soltanto nel caso in cui i sindaci abbiano agito con dolo. In letteratura si è già sottolineato come la nuova disciplina presenti qualche incongruenza nella misura in cui prevede che la limitazione al danno risarcibile si applichi solo ai membri del collegio sindacale e ai sindaci che svolgono attività di revisione, non includendo invece quella relativa ai membri del consiglio di sorveglianza – i quali continuano ad essere soggetti ad una responsabilità in forza dell’art. 2409-terdecies comma 3 c.c. – né tantomeno ai revisori legali dei conti, verso i quali è però in fase di discussione un disegno di legge di riforma dell’art. 15 del d. lgs. n. 39/2010.
In via ulteriore, il legislatore ha introdotto al quarto comma un nuovo termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione di responsabilità contro i sindaci, fissato a cinque anni decorrenti dal deposito della relazione di cui all’art. 2429 c.c. concernente l’esercizio in cui si è verificato il danno, in tal modo allineando la disciplina del termine prescrizionale delle azioni risarcitorie a quella prevista nei confronti dei revisori legali dei conti, posta dall’art. 15 co. 3 d. lgs. n. 39/2010.
3.Alcune riflessioni sull’incidenza della riforma sulla responsabilità penale dei sindaci
3.1. Alcuni effetti derivanti dalla modifica dell’art. 2407 c.c.
Il venir meno della disposizione di cui al secondo comma che sanciva una responsabilità in solido dei sindaci con gli amministratori «per i fatti o le omissioni di questi [id est: amministratori], quando il danno non si sarebbe prodotto se essi [id est: i sindaci] avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica», cambia l’assetto della disciplina civilistica sulla responsabilità sindacale. Quest’ultima disposizione era infatti stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina e delle categorie professionali poiché dava vita ad una (incongruente) equiparazione, sul piano risarcitorio, tra la responsabilità degli amministratori per l’attività gestoria e quella dei sindaci per omessa o insufficiente vigilanza colposa sull’attività dei primi, con la conseguenza di aggravare iniquamente tali soggetti in punto di quantificazione del danno lesivo. Dunque, la questione che si solleva in tale sede è se tali nuove limitazioni delle ipotesi di risarcibilità civile in capo ai sindaci possano incidere in qualche modo anche sul versante penalistico, essendo i due piani strettamente connessi tra loro.
Per comprendere del tutto quali potrebbero essere le possibili ricadute pratico-applicative, è opportuno muovere da una considerazione preliminare. È ormai un dato consolidato in dottrina e in giurisprudenza quello secondo cui la responsabilità penale dei sindaci per omesso impedimento del reato altrui derivi in modo indiretto dal nucleo di poteri e doveri previsti dal codice civile, che assolvono il ruolo chiave di fonte dell’obbligo giuridico formale di impedire l’evento criminoso, definendone la portata e i limiti della posizione di garanzia.
Nelle varie pronunce di merito e di legittimità, sovente la giurisprudenza ha fatto ricorso a criteri presuntivi e schemi imputativi in cui si riconosceva una responsabilità penale omissiva e concorsuale dei membri del collegio sindacale per i fatti commessi dagli amministratori sulla base del combinato disposto dell’art. 2403 c.c. – da cui originerebbe un generale dovere di vigilanza e controllo sui principi di corretta amministrazione – e degli artt. 40 cpv. c.p. e 2407 co. 2 c.c.
In altri termini, nel processo di attribuzione di una responsabilità concorsuale omissiva dei controllori per fatti commessi dagli amministratori, il percorso argomentativo della giurisprudenza ha poggiato (e poggia tutt’ora) su solide basi civilistiche, che determinano il contenuto e il perimetro della loro responsabilità, intesa come il paradigma degli obblighi al quale il soggetto deve conformare la propria condotta diligente (si veda, tra le sentenze a sostegno di questa impostazione, Trib. di Milano, 28 novembre 1987, in Banca borsa e titoli di credito, 1989; Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 1989, Piras; Cass. pen., Sez. V, 26 giugno 1990, Bordoni; Cass. pen., Sez. V, 28 febbraio 1991, Cultrera; nello stesso senso anche Cass. Pen. Sez. V, 22 aprile 1998, De Benedetti; Cass. pen., Sez. II, 12 febbraio 2009, n. 20515; Cass. pen., Sez. III, 26 aprile 2016, n. 17121; Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2016, n. 18499).
I possibili effetti e le ricadute applicative che l’abrogazione del secondo comma dell’art. 2407 c.c. potrebbe produrre sul piano penalistico trovano la loro ragion d’essere nel fatto che tale previsione ha per lungo tempo costituito sul piano giudiziario lo strumento interpretativo privilegiato mediante il quale la giurisprudenza, appoggiata da parte della dottrina, ha ricostruito la posizione di garanzia in capo a ciascun sindaco, attribuendo a questi ultimi poteri impeditivi e doveri di agire al pari di quelli riconosciuti in capo agli amministratori non esecutivi.
Nel dettaglio, attraverso l’equiparazione tra le due figure – pur divergenti sul piano delle funzioni esercitate – si affermava che mentre l’art. 2392 co. 2 c.c. prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedire il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, parimenti l’art. 2407 co. 2 c.c. dispone la responsabilità solidale dei sindaci per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
Sicché, il ricorso a tale schema ascrittivo ha sollevato molti dubbi in letteratura, dal momento che il riconoscimento di una responsabilità solidale dei sindaci con quella degli amministratori, fondata sulla formula di una causalità omissiva di tipo ipotetico, rischiava di sfociare il più delle volte in forme di responsabilità oggettiva o di posizione, in evidente contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale.
3.2. Brevi considerazioni finali
Da ciò, l’attenzione rivolta all’attuale riforma deriva dal fatto che sebbene il legislatore non abbia modificato il corpus normativo inerente ai poteri e doveri dei sindaci, lasciando immutato il paradigma che individua il contenuto e la cornice dell’agire doveroso, è pur vero che l’eliminazione del secondo comma dell’art. 2407 c.c. dovrebbe indurre ad una riflessione più attenta, che non si soffermi sulle conseguenze più immediate della riforma, ma che si estenda a considerazioni più ampie. È ragionevole chiedersi se, in prospettiva futura, l’abrogazione della responsabilità solidale potrebbe incidere progressivamente sulle ricostruzioni operate dalla giurisprudenza in relazione alla sussistenza della posizione di garanzia, in un’ottica maggiormente garantistica e rigoristica, che ritenga penalmente rilevanti le sole ipotesi di condotte omissive concorsuali sorrette dal principio di colpevolezza per fatti addebitabili personalmente ai singoli controllori. In tal modo, verrebbe meno quell’impostazione più estensiva, di cui sopra, volta a ricomprendere nel calderone dei soggetti penalmente perseguibili per fatti commessi nell’attività d’impresa anche coloro che non fossero personalmente responsabili.
In via ulteriore, l’introduzione all’art. 2407 c.c. di un tetto al danno risarcibile limitato alle sole condotte colpose dei sindaci nell’esercizio della loro attività mira a garantire una maggiore proporzionalità e ragionevolezza della risposta sanzionatoria civilistica. Ciò, al contempo, ha sollevato in dottrina alcuni commenti circa l’effettiva rilevanza di questa impostazione sul piano della responsabilità penale. L’interrogativo che si è posto è se tale novità possa in qualche modo alimentare la prospettiva di una limitazione della responsabilità penale dei sindaci ai soli casi di colpa grave, esentando le ipotesi di colpa lieve, al pari di ciò che avviene per la responsabilità penale per colpa lieve del medico (art. 590-sexies c.p.).
L’asserzione qui formulata troverebbe il suo giustificativo in alcune pronunce di legittimità in cui la Corte di Cassazione ha delineato e delimitato il contenuto dell’attività di vigilanza in capo ai sindaci, ritenendo che non sia esigibile «un intervento sui singoli fatti se non in presenza di segnali oggettivi di allarme» (tra le più recenti, Cass.pen., Sez. V, del 23 giugno 2020, n. 19091) e riducendo così l’attività dei soggetti ad un mero controllo sistemico ex ante. Da ciò potrebbe derivare l’interrogativo circa l’opportunità di un’esenzione da responsabilità penale del sindaco che nell’esercizio della propria attività abbia rispettato le linee guida, risultanti dalle “Norme di comportamento del collegio sindacale” elaborate dal CNDCEC e che abbia commesso la condotta per una lieve imperizia.
Pertanto, la riforma attraverso tali modificazioni punta i riflettori su una tematica che è ancora oggetto di vivace confronto dottrinale e giurisprudenziale. I profili critici che si snodano attorno alla questione relativa alla responsabilità penale omissiva e concorsuale dei gatekeepers per i fatti commessi nello svolgimento dell’attività d’impresa sono numerosi. Il problema della configurabilità di una posizione di garanzia in capo a ciascun controllore, l’identificazione di poteri impeditivi concretamente efficaci e individualmente esercitabili, nonché la previsione di un grado di colpevolezza minimo in capo a ciascun membro del collegio sindacale sono solo alcune delle tematiche più dibattute che si snodano attorno al fenomeno della responsabilità nelle organizzazioni complesse.
In tal senso, l’intervento normativo in materia civilistica rileva perché si inserisce nel contesto più ampio della responsabilità penale omissiva, abbracciando un orientamento più garantista che sia coerente col principio di personalità della responsabilità penale. Da un lato, l’eliminazione della previsione di una responsabilità solidale potrebbe incidere sulle ricostruzioni operate dalla giurisprudenza in ottica più garantistica e restrittiva circa la sussistenza della posizione di garanzia. Dall’altro lato, la previsione di una graduazione della quantificazione del danno risarcibile solletica l’interrogativo sulla opportunità di prevedere anche sul piano penale una maggiore graduazione del trattamento sanzionatorio, o addirittura un’esenzione da responsabilità, valorizzando le buone prassi professionali come possibili cause di non rimproverabilità per il sindaco diligente.