Il rapporto tra gli effetti extra-penali del patteggiamento riformato e le cause di esclusione dell’ente nel nuovo Codice degli appalti

di  Mario  Iannuzziello,  Dottore di Ricerca in Diritto penale

 

 

 

1. Introduzione

 

Nel corso di pochi mesi, il legislatore è intervenuto in due settori dell’ordinamento di particolare interesse per le imprese sia in via indiretta che in via diretta.

 

A ottobre 2022, infatti, è entrata in vigore la riforma della giustizia, meglio nota come riforma Cartabia: tra i vari interventi innovatori per il diritto e la procedura penale, il d.lgs. n. 150/2022 ha modificato gli effetti extra-penali del patteggiamento, privando di efficacia – al di fuori dell’ambito penale – la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti quando non sono inflitte le pene accessorie. Questa novazione – come si è già avuto modo di rilevare su questo sito – incide indirettamente sul sistema della responsabilità da reato degli enti in ragione sia della disciplina del patteggiamento prevista dal decreto 231 sia del silenzio del d.lgs. n. 150/2022 in merito al processo contro gli enti.

 

Il 1° aprile 2023, poi, è entrato in vigore il nuovo Codice degli appalti, che elegge la pronuncia di patteggiamento a causa di esclusione non automatica dalla gara pubblica, andando – in questo caso – ad integrare un illecito professionale grave. Nella disciplina dei contratti pubblici, a differenza di quanto accaduto nella riforma della giustizia penale, il sistema 231 viene direttamente in rilievo sotto un duplice profilo su cui ci si è già soffermati su questo sito.

 

Per un verso, infatti, l’ente-operatore economico è il destinatario di alcune preclusioni susseguenti all’imputazione o alla condanna per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Per altro verso, poi, vengono valorizzate sia la riorganizzazione dell’ente a seguito dell’imputazione o della condanna per un illecito 231 sia l’adozione di un modello di organizzazione e gestione da parte di un’impresa che concorre ad una procedura di assegnazione pubblica.

 

Tra queste due riforme sembra emergere una discrasia, originata dal mancato coordinamento tra i due testi legislativi con riferimento all’ente soggetto del sistema 231 e, al contempo, operatore economico.

 

Come detto, infatti, la sentenza 231 patteggiata – in ragione degli artt. 34, 35 e 63 d.lgs. n. 231/2001 – non produce effetti al di fuori del sistema penale. Invece, privando di efficacia il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. – “le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna”si pone la questione se tale effetto si spieghi anche verso quelle norme del nuovo Codice degli appalti (artt. 95 e 98), che equiparano la sentenza di condanna a quella patteggiata, oppure se queste norme rientrino nella clausola di salvaguardia prevista dal medesimo comma dell’art. 445 c.p.p., ove stabilisce che tale effetto vale “salvo quanto previsto […] da diverse disposizioni di legge.

 

Per tentare di dare un contributo alla riflessione sul tema, occorre prima soffermarsi brevemente sulle peculiarità del patteggiamento dell’ente, che concedono ragioni alla previsione dell’art. 445, comma 1bis c.p.p. e, in seguito, chiedersi se questa privi di efficacia gli artt. 95 e 98 del nuovo Codice degli appalti.

 

 

2. Le peculiarità del patteggiamento dell’ente con riferimento alle sanzioni 231 e al rinvio alla disciplina dell’omologo rito previsto nel Codice di procedura penale

 

L’art. 63 del decreto 231 – come noto – prevede una disciplina sui generis del patteggiamento per l’ente.

 

Criteri di ammissibilità al rito sono: (i) la definizione del giudizio contro l’autore del reato presupposto a norma dell’art. 444 c.p.p.; (ii) la possibilità di definire il procedimento contro l’autore del reato presupposto a norma dell’art. 444 c.p.p.; (iii) la previsione della sola sanzione pecuniaria per l’illecito amministrativo dipendente da reato (art. 63, co. 1, d.lgs. n. 231/2001).

 

Criterio ostativo, invece, è soltanto l’applicazione della sanzione interdittiva in via definitiva (art. 63, co. 3, d.lgs. n. 231/2001).

 

La centralità assunta dalla sanzione come condizione tanto di accesso al rito quanto di esclusione dallo stesso, corroborata anche dalla mancata distinzione tra sanzioni principali e sanzioni accessorie nel corpo del decreto 231 (cfr., Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 45472/2016 e Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 14696/2021), pare fornire un primo dato che permette di sostenere l’estensione dell’inefficacia extra-penale della sentenza patteggiata dall’ente.

 

A ciò si aggiunge anche un’ulteriore previsione del comma 1 dell’art. 63, laddove prevede che “Si osservano le disposizioni di cui al titolo II del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto compatibili”, ossia quelle previste per l’applicazione della pena su richiesta delle parti, specificando in questa parte del Decreto il canone generale previsto dagli artt. 34 e 35, che rende applicabili “in quanto compatibili” le regole processuali del Codice di procedura penali e disposizioni relative all’imputato.

 

Il rinvio operato alla disciplina del Codice di rito penale consente di far propri nel giudizio contro l’ente non solo le regole processuali, ma anche gli effetti scaturenti dal patteggiamento, in quanto il rimando non distingue tra regolamentazione procedurale (artt. 444 e 446 e ss. c.p.p.) ed effetti della sentenza patteggiata (art. 445 c.p.p.), ma si struttura secondo l’alternativa compatibilità/incompatibilità tra i due testi normativi (decreto 231 e Codice di procedura penale).

 

In astratto, dunque, la compatibilità tra la mancata produzione di effetti extra-penali della sentenza patteggiata e la disciplina del patteggiamento dell’ente pare discendere da due ordini di ragioni.

 

Da un lato, la mancata distinzione nel corpo del decreto 231 tra sanzioni principali e accessorie e la possibilità di accordo anche sulla misura interdittiva consente di obliterare l’inciso “Se non si applicano le pene accessorie”, per cui della seconda parte del riformato comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. residua la previsione secondo la quale “non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna”.

 

Dall’altro, la ratio premiale connessa al patteggiamento dell’ente – sottolineata anche dalla Relazione ministeriale al d.lgs. n. 231/2001 – non solo risulta compatibile con la novazione apportata dalla riforma Cartabia agli effetti extra-penali dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, ma, anzi, pare rafforzata.

 

L’incentivo al ricorso ai riti alternativi – punto centrale della riforma della giustizia del 2022 – passa anche attraverso la limitazione degli effetti penali della condanna (e dei provvedimenti equiparati, quali il patteggiamento) e sarebbe incoerente precluderne il riconoscimento proprio al soggetto corporativo che – vivendo di relazioni economico-commerciali – potrebbe essere più che incentivato a farvi ricorso. Infatti, in linea teorica, l’ente che patteggia e a cui non si applicano gli effetti extra-penali della sentenza patteggiata potrebbe continuare a svolgere la propria attività, nei limiti concessi dal terzo periodo del comma 1bis, art. 445 c.p.p. ossia “Salvo quanto previsto dal primo [fine probatorio nei giudizi diversi da quello penale] e dal secondo periodo [privazione degli effetti delle norme extra-penali che equiparano la sentenza patteggiata a quella di condanna] o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.

 

 

3. La neutralizzazione degli effetti delle disposizioni di legge diverse da quelle penali e la nozione di diverse disposizioni di legge nell’art. 445, co. 1bisp.p. riformato

 

Una tra le principali novazioni della riforma Cartabia in tema di patteggiamento attiene agli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

 

Il comma 1bis dell’art. 445 c.p.p., infatti, stabilisce che “Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna”.

 

Tale disposizione è costruita su due concetti chiave: (i) la neutralizzazione di alcuni effetti giuridici e (ii) la nozione di legge diversa da quella penale.

 

Con riguardo al primo, il legislatore del 2022 ha inteso privare di effetti quelle norme che equiparano la sentenza patteggiata a quella di condanna. Con riguardo al secondo, invece, ha enucleato quale oggetto di tale neutralizzazione le leggi diverse da quelle penali ossia quelle leggi che – stante la nozione di legge penale – non prevedono reati, la cui struttura, cioè, non segue il binomio precetto/sanzione penale.

 

Tutto ciò appare lineare fintantoché non si considera il terzo periodo del comma 1bis dell’art. 445 c.p.p., che stabilisce “la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”, fuori dai casi previsti “dal primo e dal secondo periodo” o “da diverse disposizioni di legge”. Pertanto, l’equiparazione sembra continuare ad essere la regola, mentre la neutralizzazione (insieme all’irrilevanza nei giudizi diversi da quello penale) pare costituire l’eccezione, a cui si affianca anche un rinvio mobile a “diverse disposizioni di legge”.

 

La formulazione di questa norma pone delle questioni interpretative ed applicative di non poco momento: infatti, nella legislazione extra-penale – quale è il nuovo Codice degli appalti – l’equiparazione tra sentenza patteggiata e sentenza di condanna è quasi un topos letterario e, dunque, è la pubblica amministrazione, il privato o il giudice a dover dipanare – in assenza di un’esplicita indicazione legislativa – la questione sull’efficacia extra-penale del patteggiamento, caso per caso.

 

Con riferimento all’ente, questo stato di cose si traduce nella possibilità o nell’impossibilità di contrattare o meno con la pubblica amministrazione, concorrere a gare di appalto e, più in generale, di portare avanti la sua attività economica.

 

 

4. La neutralizzazione della sentenza patteggiata come causa di esclusione non automatica dell’ente dalle gare pubbliche?

 

Il nuovo Codice degli appalti prevede una serie di cause di esclusione automatiche e non automatiche dell’ente dalla procedura ad evidenza pubblica, come si è già notato, che contemplano anche la sentenza patteggiata dell’ente.

 

La questione che ora si pone è se quanto previsto dal riformato comma 1bis dell’art. 445 c.p.p. sia applicabile anche in questo ambito normativo.

 

Preliminarmente, è da rilevare che nella versione definitiva del decreto legislativo l’applicazione della pena su richiesta delle parti è decaduta da causa di esclusione automatica dalla procedura di appalto, prevista, invece, nello schema di decreto legislativo. L’art. 94 vigente prevede ora come cause ostative ope legis esclusivamente la condanna con sentenza definitiva o il decreto penale di condanna irrevocabile.

 

Di conseguenza, la questione ora afferisce al patteggiamento quale elemento costitutivo dell’illecito professionale grave (art. 98, d.lgs. n. 36/2023), che può integrare una causa di esclusione non automatica dalla procedura di appalto (art. 95, d.lgs. n. 36/2023).

 

Seguendo lo schema dettato dal comma 1bis, parte seconda, dell’art. 445 c.p.p., emerge che gli articoli 95 e 98 del nuovo Codice degli appalti sono “disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna” e, pertanto, “non producono effetti” ai fini della partecipazione alla gara pubblica. Priva cioè di effetti quelle parti di dette norme che equiparano la sentenza patteggiata alla sentenza di condanna. Proseguendo, poi, secondo la lettera del comma 1bis, parte terza, la mancata produzione degli effetti extra-penali della sanzione patteggiata rientra nella clausola di salvaguardia ivi prevista, cioè “Salvo quanto previsto […] dal secondo periodo […], la sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna”. Secondo tale interpretazione, dunque, la disciplina introdotta con la riforma Cartabia è norma speciale che prevale su quella generale, contenuta nel nuovo Codice degli appalti e sull’equiparazione tra le due pronunce (di condanna e di patteggiamento).

 

Potrebbe, tuttavia, darsi anche un’interpretazione diametralmente opposta, ma non escludibile a priori: proseguendo sempre secondo lo schema del comma 1bis, parte terza, infatti, l’interpretazione testé proposta potrebbe essere falsificata se si eleggesse il nuovo Codice degli appalti nella clausola “Salvo quanto previsto […] da diverse disposizioni di legge”, volendo così rendere la disciplina dell’illecito professionale grave e, quindi, la correlata causa di esclusione non automatica, norma speciale rispetto a quella che limita gli effetti extra-penali del patteggiamento. Tale ipotesi, infatti, tenderebbe a porre nel vuoto la novazione che ha interessato l’art. 445 c.p.p.

 

 

5. L’ulteriore profilo premiale assunto dal patteggiamento dell’ente

 

La ratio che rende compatibile la nuova disciplina degli effetti extra-penali del patteggiamento anche all’ente e, quindi, quella della neutralizzazione delle disposizioni del nuovo Codice degli appalti pubblici secondo l’interpretazione proposta emerge ancora con maggiore evidenza se si considerano le peculiarità dell’agente collettivo, che deve permanere sul mercato perché resti in vita.

 

La sinergia tra queste due novazioni legislative pare incentivare il ricorso al patteggiamento tanto per l’autore del reato presupposto quanto per l’ente, rito alternativo che vede incrementato il proprio portato premiale.

 

L’impresa, infatti, una volta definito il processo in cui è imputata nelle forme dell’art. 63 del decreto 231, potrà continuare ad operare sul mercato dei contratti pubblici e, quindi, continuare la propria attività economica, premio che – tra i diversi riti alternativi – segue solo al patteggiamento.